Milano, Europa
“Milano è indiscutibilmente in decadenza, ha perduto la capacità di attrazione degli anni del boom e lo smalto degli anni Novanta: oggi è un centro finanziario di media importanza, con lunghe e penose crisi industriali a testimoniare le passate glorie”
“Milano ha smesso di sentirsi grande e, per quanto ricca, misura il suo declinante potere. La metropoli lombarda ha perso la via maestra, soprattutto perché non ha più un modello e sembra incapace di produrlo”
“Il grigiore e la noia delle periferie hanno invaso il centro: la città non è mai stata così anonima e invivibile come oggi. Nessun grande progetto o evento, la convivialità consumata nel rito dell’happy hour, il dibattito cittadino confinato alla rissa annuale per l’assegnazione dell'”Ambrogino d’oro”, il gusto della modernità ridotto a una maniaca opera di lifting urbano. Più brutta e più ricca di sempre, avvelenata dall’aria più irrespirabile d’Europa. Senza identità né memoria”
Non bisogna fare un particolare sforzo di memoria per ricordarsi che, parlando di città italiane, soltanto quindici o vent’anni fa Roma era quello che oggi è Milano, e Milano era quello che oggi è Roma.
In quegli anni Roma era la città con lo sguardo internazionale, che proponeva un modello al paese; la città che si era rimessa a nuovo per il Giubileo, che aveva molti problemi ma aveva anche trovato dei modi per far funzionare le cose ogni giorno un po’ meglio, e rendersi a poco a poco più attrattiva, più rilevante, più curiosa del mondo. Roma era il posto in cui le cose succedevano: ed era vero, non perché non avesse dei guai, come ce li ha oggi Milano, ma perché la traiettoria era ascendente, la tendenza era positiva. C’era la curiosità di sapere cosa sarebbe successo il giorno dopo. Milano era già allora una città più ricca e più efficiente di Roma, ma era anche diffidente verso il prossimo e verso il futuro, rabbiosa, un posto dove le magagne erano profezie auto-avveranti. Forse era persino un po’ tetra, povera di ottimismo e speranze. Era anche una città diversa, d’altra parte: dove ora c’è la Darsena, allora non c’era niente; dove ora c’è City Life, allora non c’era niente; dove oggi c’è Porta Nuova, allora non c’era niente. L’elenco potrebbe continuare. Se siete milanesi, eliminate questi luoghi dalle vostre routine e vedete che qualcosa cambia, nella vostra percezione della città. Quando i romani venivano a Milano, dicevano che la cosa più bella della città era il treno per Roma. Oggi quella frase non si sente più in giro, ma quel periodo non è un ricordo lontano. Le vicende delle città cambiano in fretta.
Non c’è tema all’ordine del giorno nell’agenda politica globale cosiddetta – o banalmente nelle priorità di tutti – che non si possa affrontare a partire dalle città. Come cambia la nostra identità e l’identità dei luoghi che abitiamo a causa dell’immigrazione, e con quali conseguenze. Come si creano – o non si creano – ricchezza e lavoro. Come conciliare esigenze e interessi diversissimi. La falsa scelta binaria tra gentrificazione e degrado. Il costo delle case e da cosa dipende; le case popolari e come funzionano o non funzionano. Come ci muoviamo e il nostro rapporto con cantieri e infrastrutture. La qualità dell’aria che respiriamo e le nostre responsabilità. La capacità o l’incapacità di prendere decisioni complicate per il bene collettivo; i dubbi sull’esistenza stessa di qualcosa che si possa definire “bene collettivo”.
Ho passato gli ultimi mesi a lavorare a un reportage giornalistico sulla città in cui vivo da molto tempo, Milano, perché sta attraversando un momento particolare di fortuna e sviluppo, ma il racconto delle ragioni di queste fortune e di questo sviluppo è spesso schiacciato dalla superficialità della gran parte della comunicazione e dell’informazione odierna, e dallo stupido e infantile campanalismo che avvolge qualsiasi discussione locale nel nostro paese. Quindi ho letto e ho studiato, ho accumulato chilometri e chilometri sul mio scooter, ho camminato e parlato con tantissime persone, ho intervistato professori e studenti, imprenditori e sindacalisti, insegnanti e manager, attivisti e politici, preti e funzionari, oltre a moltissimi semplici cittadini, nel tentativo di ricostruire a che punto è questa città, e indagare i molti luoghi comuni positivi e negativi sul suo conto. È una storia che può essere interessante per chi abita a Milano ma, secondo me, anche per chi vive da tutt’altra parte: Milano è un pezzo importante del nostro paese, e molti dei suoi problemi e dei suoi successi sono i potenziali problemi e successi di molte altre città.
Il risultato si intitola “Milano, Europa”, è un podcast prodotto da Piano P con il contributo di EuroMilano. Dura sei puntate, oggi è uscita l’ultima. Chi lo scopre ora lo trova – gratis – su Spotify, su Spreaker, sull’app Podcast dell’iPhone, su Google Podcasts, su Storytel. Ne approfitto quindi per ringraziare innanzitutto Carlo Annese di Piano P, da anni il miglior producer di podcast in Italia; le persone di EuroMilano, per il sostegno insostituibile e la completa e totale libertà che mi hanno dato; Roberto Cigna, che ne ha disegnato il logo e col quale vent’anni fa dividevo i banchi di scuola; le decine di persone che ho avuto il piacere di intervistare e che mi hanno dedicato un po’ del loro tempo. Infine gli ascoltatori, ovviamente: le prime cinque puntate di “Milano, Europa” sono state ascoltate decine di migliaia di volte e sono finite sempre nella classifica di iTunes, spesso al primo posto. Grazie a tutti, davvero: spero sia stato utile e interessante per voi quanto lo è stato per me.
Ascolta “1. La nuova Milano e le sue case” su Spreaker.
Ascolta “2. Terra, aria” su Spreaker.
Ascolta “3. I margini” su Spreaker.
Ascolta “4. Chi sono i milanesi” su Spreaker.