“Because of you, John”
“Più di una volta ho pensato di stare per morire. Nel 1961, quando fui picchiato alla stazione dei Greyhound di Montgomery, pensavo che sarei morto. Il 7 marzo del 1965, quando un poliziotto mi diede una manganellata in testa ai piedi dell’Edmund Pettus Bridge, pensavo che sarei morto.”
Il giorno del primo insediamento di Barack Obama alla Casa Bianca, a gennaio del 2009, un deputato statunitense ricevette un biglietto dalla persona che stava per prestare giuramento e diventare il primo presidente nero della storia degli Stati Uniti. Quel biglietto diceva semplicemente: “Because of you, John”.
Da qualche giorno è uscito in Italia un libro che racconta la storia di John Lewis, cioè una delle poche persone al mondo per cui si possono usare parole straordinarie e abusate come eroe, mito, leggenda, quello che volete: a John Lewis stanno tutte bene, come un vestito su misura. Furono sei persone a guidare il movimento americano per i diritti dei neri tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i cosiddetti “Big Six“: la più famosa era ovviamente Martin Luther King e avevano tra i quaranta e cinquant’anni, tutti tranne uno, cioè proprio John Lewis, che è l’unico ancora vivo dei “Big Six”. Lewis era poco più che un ragazzino ed era uno dei leader di quella cosa enorme, fu uno dei primi Freedom Riders, si prese per anni una montagna di sputi, manganellate e mazzate; oggi è deputato, dal 1986 sempre rieletto ogni due anni in Georgia.
Il libro è un graphic novel, si intitola March, negli Stati Uniti ha vinto un mucchio di premi. Questo è John Lewis che ritira uno di questi premi: guardatelo il video, dura un minuto, non passate oltre.
Mondadori mi ha chiesto di scrivere l’introduzione di March, e allora è di nuovo opportuno usare una parola straordinaria e abusata: è stato un onore.