Non è un referendum sulla Costituzione
Apprezzo le buone intenzioni di chi ha insistito e insiste perché la campagna elettorale in vista del 4 dicembre si concentri sull’oggetto ufficiale della questione – la riforma costituzionale approvata dal Parlamento – e non sulle guerre personali e gli scenari politici del futuro, ma sono arrivato a una conclusione: il 4 dicembre si vota sulle guerre personali e gli scenari politici del futuro. Non so se questo argomento favorisca il Sì o il No, lo penso a prescindere: ma credo che questo sia il vero punto del voto e quindi che gli elettori debbano tenerlo in grande considerazione nel decidere cosa votare: persino più del contenuto della riforma in sé.
Le persone più ragionevoli a favore del Sì e a favore del No – le vere vittime di questa campagna elettorale – sono d’accordo su una cosa: che dal punto di vista costituzionale non ci saranno rivoluzioni salvifiche in caso di vittoria della propria parte né catastrofi apocalittiche in caso di vittoria della parte opposta. È banalmente vero. La riforma – approvata sei volte in Parlamento col voto favorevole di molti che oggi fanno campagna per il No – non tocca la parte fondamentale della Costituzione e corregge alcuni elementi della seconda parte in modo significativo ma non radicale. Il bicameralismo perfetto sparisce ma il bicameralismo rimane. Il Senato non viene abolito ma cambia un po’. Lo stesso vale per le norme sui referendum e le leggi di iniziativa popolare. Sono cambiamenti positivi o negativi? Ci sono davvero buoni argomenti per sostenere entrambe le tesi. Io sono soddisfatto dai cambiamenti che riguardano referendum e leggi di iniziativa popolare, moderatamente fiducioso sull’abolizione del bicameralismo perfetto, scettico sulla composizione e il funzionamento del nuovo Senato, e penso che l’abolizione del CNEL sia opportuna ma tutto sommato irrilevante. Ma allo stesso tempo mi rendo conto che le mie opinioni sono fondate su una conoscenza inevitabilmente superficiale della materia, per quanto possa aver letto e studiato. Ci sono costituzionalisti e professori di diritto che studiano da una vita questioni del genere, che hanno una competenza infinitamente superiore alla mia, e non sono d’accordo sulle conseguenze che avrà questa riforma. Come posso pensare di arrivare io a una conclusione sicura?
Inoltre, la storia insegna che i meccanismi politici generati da un determinato assetto istituzionale a volte ci mettono anni a realizzarsi, e non sono noti finché non accadono: è successo così con la Costituzione approvata dall’Assemblea Costituente, per esempio. Non ci saranno catastrofi né rivoluzioni, ma a parte questo non sappiamo davvero cosa succederà: con una vittoria del No le cose restano così, con una vittoria del Sì le cose potranno funzionare al massimo un po’ meglio oppure un po’ peggio, e ci sono buoni argomenti per sostenere entrambe le tesi. Chiunque si dica sicuro delle conseguenze che la vittoria del Sì o la vittoria del No potranno avere sulla Repubblica italiana vi prende in giro. Non lo sanno davvero i costituzionalisti, figuriamoci se lo sanno – con tutto il rispetto – i giornalisti, me compreso, i parlamentari o quelli che ne discutono online.
E d’altra parte, vi sembra che una discussione su questo genere di limitate correzioni costituzionali possa giustificare una campagna elettorale così aggressiva e greve? Il bicameralismo paritario e il CNEL vi sembrano una questione su cui valga la pena scannarsi? Certo che no. Si stanno scannando, ci stiamo scannando, perché quello che questo referendum mette davvero in gioco è la direzione da dare alla classe politica di questo paese e la sopravvivenza di una sua importante generazione. Attenzione, perché qui è facile cadere in un equivoco ulteriore: pensare che si tratti di un referendum sul governo, su Renzi. La provenienza di questo argomento è comprensibile: durante la campagna hanno preso forma due schieramenti davvero inediti, con da una parte Renzi e un pezzo del suo partito, dall’altra tutti gli altri, compreso un pezzo del PD. È diventata Renzi contro il Resto del mondo. E quindi votano Sì quelli a cui piace Renzi, votano No quelli a cui non piace Renzi. Ma anche questo argomento è fuorviante.
Una vittoria del No farebbe fuori il governo Renzi, che sarebbe sostituito probabilmente da un governo Franceschini o Delrio o Tizio o Caio sostenuto dalla stessa maggioranza che oggi sostiene il governo Renzi. Se si andasse a votare subito, la legge elettorale garantirebbe con assoluta e matematica certezza la nascita di un altro governicchio di larghe intese, il quarto consecutivo. Se si volesse invece modificare di comune accordo la legge elettorale, servirebbe mettere d’accordo un PD decapitato, le macerie di Forza Italia, il Movimento 5 Stelle e la Lega: buona fortuna. Lo stesso Renzi, poi, non solo resterebbe segretario del PD almeno fino al congresso, ma diventerebbe l’unico rappresentante politico di, quanti, il 45 per cento degli elettori? Il 47 per cento? Non dovrebbe dividere quel risultato con nessuno se non con un pezzo del suo partito, nemmeno con tutto, e ripartirebbe da lì. Diciamo che in politica esistono sconfitte peggiori.
Cos’altro succederebbe con una vittoria del No? Un’intera anziana e vastissima generazione politica si guadagnerebbe il diritto a un ultimo giro di giostra: da Brunetta a D’Alema, da Bersani a Berlusconi, da Maroni a Monti, da Gasparri a Fassina, persone che hanno fatto in modi diversi la storia della Seconda Repubblica e ora sono sul punto di uscirne, come fisiologicamente accade in ogni democrazia, conquisterebbero nuova centralità e vitalità nei loro partiti e quindi nel paese. Lo dico a prescindere dal giudizio nei loro confronti: è un fatto che alle successive elezioni bisognerebbe ancora, di nuovo, fare i conti con loro. Sarebbero quelli che incassano i dividendi politici e quindi poi sarebbero i decisori, i dirigenti, i capilista, i capigruppo. Gli unici vincitori del referendum in grado di potersi presentare alle successive elezioni come vere novità politiche, al di là del fatto che lo siano o no, e in modi e dimensioni molto diverse, sarebbero il Movimento 5 Stelle, la Lega di Matteo Salvini e Possibile di Pippo Civati.
Cosa succederebbe in caso di vittoria del Sì, invece? Sarebbe una grande vittoria politica di Renzi, questo è fuori discussione: ed è stato sciocco, peraltro, chi ha permesso che potesse intestarsela quasi da solo dopo un percorso parlamentare così lungo, concertato e collegiale. Ma Renzi non diventerebbe il padrone di niente: tanto che oggi persino i suoi avversari nel PD lo accusano di aver promosso una legge elettorale senza pensare che il suo meccanismo di ballottaggio rischia di favorire il Movimento 5 Stelle. Alle prossime elezioni, poi, tutti sarebbero ovviamente liberi di votare contro Renzi e contro il PD. Cosa sarebbe cambiato, nel frattempo? Che la vittoria del Sì dentro la minoranza del PD e i partiti di opposizione avrebbe accelerato – invece che arrestarli – quei fisiologici percorsi di trasformazione e rinnovamento.
Probabilmente non sarebbero più Berlusconi e Brunetta a dare le carte nel centrodestra, aprendo definitivamente una partita politica che sta avvenendo sotto traccia da mesi e altrimenti sarebbe troncata sul nascere. Probabilmente chi nel PD non è d’accordo con Renzi non sarà costretto al congresso a votare una mozione Speranza-D’Alema-Bersani. Probabilmente chi vuole votare un partito più di sinistra del PD non si troverà impiccato a scegliere tra D’Attorre e Fassina. Ho detto “probabilmente”, non “di sicuro”: ma è sicuro che al contrario quella classe politica resterebbe al suo posto e più forte di prima. Renzi è già oggi la persona attorno a cui ruota la politica italiana, che piaccia o no: in qualche modo potrebbe restarlo anche in caso di sconfitta al referendum. La differenza è che con la vittoria del Sì tutti gli altri, tutti quelli che con il loro passato e le loro inadeguatezze hanno ottenuto, tra le altre cose, che Renzi completasse la sua ascesa politica alla velocità della luce, prenderebbero un gran colpo: in molti casi, potenzialmente, quello decisivo.
Gli anti-Renzi che non sono leghisti né grillini, ma vorrebbero poter votare partiti migliori anche per avere più possibilità di battere Renzi o condizionarlo, dovrebbero votare Sì persino con più entusiasmo di quelli del PD. La brutalità di questa campagna elettorale è la brutalità tipica delle battaglie per la sopravvivenza personale: e questo perché il referendum del 4 dicembre nelle sue conseguenze profonde non riguarda né la Costituzione né il governo Renzi. Riguarda tutti gli altri.