Storia di una newsletter
Quando lo scorso giugno ho deciso di aprire una newsletter, e usarla per fare una volta la settimana un punto della situazione sulla campagna elettorale in vista delle presidenziali negli Stati Uniti, l’ho fatto per me. Preso dalle mille cose da fare al Post, da qualche tempo mi ero reso conto di aver perso il filo di una cosa che mi interessa da molti anni – la politica americana – e di aver trascurato letture, approfondimenti e cose nuove da imparare. Ho pensato allora di prendermi un impegno pubblico, per costringermi a ricominciare a occuparmene più seriamente. Per ragioni simili ho deciso di scrivere questi aggiornamenti su una newsletter, e non per esempio qui sul blog: avevo voglia di fare qualcosa di diverso e imparare una cosa nuova. Non avevo idea di quanto, al di là delle mie motivazioni personali, questa si sarebbe rivelata una buona idea.
Prendermi questo impegno, dal punto di vista personale, ha funzionato: ho ricominciato a leggere e studiare un sacco di cose sulla politica americana e sto seguendo questa campagna con un’attenzione e una profondità molto superiore alle ultime due, che pure mi avevano molto coinvolto. Ma soprattutto ho trovato un modo nuovo e stimolante per fare quello che faccio.
Forse avete letto in giro qualcosa sulla rinascita e il nuovo successo delle newsletter. Dal mio piccolissimo punto di vista, posso confermarne le ragioni. Con le newsletter la lettura dei testi avviene in un posto silenzioso, rispetto al rumore delle pagine web e dei social network, senza banner e popup e commenti e urla, e forse persino intimo: la propria casella email. Allo stesso modo, però, ci si sente parte di “qualcosa”, di una comunità: molto più di quanto accada in un non-luogo come Facebook. Le persone che vogliono rispondere e commentare, inoltre, possono farlo senza esporsi necessariamente ai giudizi e alle opinioni dell’universo-mondo: possono dire una cosa a me.
Per ogni newsletter che mando, ricevo ogni settimana decine di risposte: dopo l’ultima, più di novanta. Dentro ci trovo soprattutto domande, ma anche segnalazioni, consigli, racconti, opinioni, critiche. Rispondo a tutti, sempre. Col passare dei mesi la newsletter è diventata quindi una specie di lavoro: mi richiede più o meno un’ora al giorno tra lettura dei giornali e risposta alle email – a volte di più, nelle settimane di notizie più intense – e poi tre o quattro ore il sabato mattina per mettere tutto insieme, recuperare quello che va recuperato e scrivere. La mando ogni sabato, a volte facendo anche delle acrobazie pur di non saltarne mai uno: l’ho mandata anche sabato 15 agosto, sabato 26 dicembre e sabato 2 gennaio. Non metto in conto alla newsletter solo le notti insonni per seguire discorsi e dibattiti, perché quelle le farei comunque con piacere per il Post. Il risultato è che il numero degli iscritti è salito costantemente, con mia grande felicità e incredulità.
Cito da uno dei molti articoli sulla rinascita delle newsletter:
Ottenere anche solo 1.000 iscritti a una newsletter è molto più complicato di ottenere 1.000 followers su Twitter. «Moltissimi autori influenti hanno poche centinaia di iscritti, al massimo qualche migliaio», ha detto Kate Kiefer Lee, editor di MailChimp, la società che possiede TinyLetter. La newsletter media su TinyLetter ha 265 iscritti. Questi numeri apparentemente modesti possono generare però moltissimo traffico verso il contenuto delle newsletter. Quello che gli manca sul fronte dei numeri, lo compensano con la lealtà degli iscritti. La newsletter “5 Intriguing Things” di Alexis Madrigal ha 8.800 iscritti, per esempio: una piccola parte del pubblico che potrebbe raggiungere su Twitter. Il tasso di apertura delle sue newsletter però si aggira intorno al 60 per cento. «Posso raggiungere 5.280 persone ogni giorno, più o meno. Per farlo con Facebook ti serve una pagina con 88.000 “mi piace”».
Per mandare la newsletter uso un popolare servizio che si chiama Tinyletter. Dato che è gratuito, ha qualche limite: per esempio ogni newsletter non può avere più di 5.000 iscritti. Noi siamo più di 5.000 ormai da qualche tempo. Ogni settimana, poi, le mie newsletter sono aperte dal 70-80 per cento degli iscritti: non sono un esperto, ma ho chiesto e letto in giro e ho capito che c’era da essere molto contenti. Specialmente visto che si parla di politica americana, un argomento relativamente esotico, e abbiamo cominciato ben un anno e mezzo prima delle elezioni.
Fermi tutti, lo so: se c’è un limite di 5.000 iscritti, com’è che ne ho di più? Quando ci stavamo avvicinando ai 5.000 iscritti, preso un po’ dal panico, ho scritto un’email a quelli di Tinyletter e loro sono stati così gentili da fare un’eccezione e alzare un po’ il limite degli iscritti (ho letto in giro e ho scoperto che lo fanno di tanto in tanto). Il problema è che di questo passo raggiungeremo presto il nuovo limite, anche perché con l’inizio delle primarie le nuove iscrizioni settimanali sono ulteriormente aumentate. Quindi ci tocca passare a un altro servizio.
Ce ne sono tanti: alcuni gratuiti, ma con limiti di affidabilità e di “capienza” che prima o poi si farebbero sentire, oppure complicate configurazioni tecniche che non ho il tempo e la voglia di studiare e affrontare. La maggior parte sono a pagamento. Ho deciso di passare a MailChimp, per due ragioni. Primo: è la società proprietaria di Tinyletter, quindi la transizione da un servizio all’altro dovrebbe essere semplice e indolore per tutti. Secondo: è considerata uno dei migliori – se non il migliore – servizio di newsletter in circolazione. Il punto è che costa. Quanto costa? Dipende dal numero degli iscritti. Per quelli che siamo adesso, circa 70 euro al mese. Se gli iscritti dovessero crescere ancora, come probabilmente accadrà, si può arrivare a 135 euro al mese (la cifra sale ancora se si superano i 25.000 iscritti, ma non credo ci arriveremo da qui a novembre).
La newsletter è gratuita dall’inizio e ho a cuore che rimanga gratuita fino alle elezioni di novembre. Rimane però che molto presto per produrla – oltre alle mie ore di lavoro – serviranno dei soldi da pagare ogni mese per nove mesi: facendo una stima conservativa, cioè supponendo di pagare da qui a novembre in media 90 euro al mese, si arriva a 810 euro. Quindi ho pensato di raccontare la cosa agli iscritti e dire loro: io mi sto divertendo molto, vorrei continuare e quindi i soldi ce li metterò in ogni caso di tasca mia fino a novembre 2016, ma se volete potete darmi una mano facendo un versamento con Paypal. Qualsiasi cifra va bene: io ci metto la differenza. Obiettivo dichiarato: raccogliere 810 euro in nove mesi. Se poi i soldi degli iscritti avessero superato quella quota, ho scritto, avrei usato la parte eccedente a parziale copertura dei costi necessari per andare quest’estate alle convention dei Democratici e dei Repubblicani negli Stati Uniti (anche questa è una spesa che farei comunque).
È andata che quegli 810 euro – quelli necessari per arrivare tranquilli a novembre – sono arrivati in due ore, sabato pomeriggio. E poi ne sono arrivati altri, e poi degli altri ancora, mentre io facevo i salti di gioia e mandavo messaggi increduli agli amici che chiedevano notizie. Oggi siamo a oltre 3.500 euro: riuscirò a coprire i costi della newsletter e almeno metà delle spese per andare alle convention quest’estate. Sospenderò la raccolta fondi già con la newsletter di sabato: se qualcuno vuole dare ancora qualche spicciolo, rimangono un paio di giorni.
Ora, questa è una storia molto piccola e molto peculiare, ed evidentemente sono stato fortunato abbastanza da incontrare e convincere in questi mesi un certo numero di persone calorose e speciali, il cui senso di comunità, collaborazione e complicità mi ha commosso. Ma è anche una storia simile a molte altre, in un’epoca di crowd-funding utilizzati per finanziare qualsiasi cosa e contemporanea crisi dei modelli di business giornalistici, quindi forse se ne può trarre anche qualche indicazione in più: le persone disposte a pagare per le news esistono anche in Italia. Naturalmente a certe condizioni, in certi contesti, eccetera: però esistono.