Una settimana con Donald Trump
–472 giorni alle elezioni statunitensi
–191 giorni all’inizio delle primarie, in Iowa
È stata una settimana circense, tra candidati-pagliaccio, leggi distrutte con la motosega, cellulari sbriciolati, indagini e contestazioni.
Di cosa parleremo:
– The Donald, per forza
– cosa devono fare i poveri Repubblicani per farsi notare mentre tutti parlano di The Donald
– due problemi imbarazzanti per Clinton e Sanders
– un nuovo incazzoso candidato Repubblicano
– tre risposte a tre cose che mi avete chiesto
È estate, fa caldo, Trump è in testa ai sondaggi
La grande notorietà e ricchezza di Donald Trump, e l’attenzione che gli riservano i media, ne hanno fatto il candidato più discusso di questa settimana e lo hanno portato in testa agli effimeri sondaggi di questo periodo sulle primarie Repubblicane. Lui, Trump, in pochi giorni è riuscito a:
– insultare John McCain, senatore Repubblicano di lungo corso e posizioni non sempre ortodosse, per quello per cui tutti lo considerano un eroe di guerra: fu catturato e torturato per cinque anni e mezzo in Vietnam («a me piacciono quelli che non vengono catturati», ha detto The Donald)
– rispondere alle critiche di un altro senatore Repubblicano moderato, Lindsey Graham, leggendo ad alta voce il numero di cellulare dello stesso Graham durante un comizio (Graham ha poi teatralmente distrutto il suo cellulare a favore di telecamera)
– andare a far visita al confine tra Stati Uniti e Messico dicendo altre cose estremiste sull’immigrazione e le persone di origini latinoamericane
– minacciare una candidatura da indipendente alle presidenziali (cosa che praticamente renderebbe Hillary Clinton vincitrice in partenza)
Ora, con ordine. Abbiamo già detto che i sondaggi a questo punto non valgono niente, che quattro anni fa capitarono in testa per un po’ anche dei completi svalvolati come Michele Bachmann ed Herman Cain, che Trump non ha possibilità di diventare presidente. È un fenomeno quasi esclusivamente mediatico, prima o poi passerà. Intanto però le sue uscite stanno danneggiando i Repubblicani, e qualcuno sta cominciando a reagire. Dicevamo due settimane fa: “la sua candidatura fornisce una grande opportunità di visibilità nazionale e atteggiamento presidenziale al primo candidato Repubblicano che deciderà di attaccarlo duramente”. Quel candidato fin qui è stato Rick Perry.
Ex governatore del Texas, candidato prima favorito e poi disastroso nel 2012, Perry ha detto che Trump è «un cancro del conservatorismo» e «fa appello ai peggiori istinti della condizione umana». Per ora Perry nei sondaggi non si è mosso granché, ma intanto non si è mai parlato di lui così tanto come in queste settimane: a qualcosa porterà. Gli altri candidati per ora sono più cauti: sanno che Trump si sgonfierà e non vogliono alienarsi i suoi ammiratori. Ma questa tattica gli sta togliendo ossigeno.
Bonus
Per esempio, guardate che cosa ha dovuto mettere in scena il povero Rand Paul per farsi notare.
Il dibattito del 6 agosto
In tutto questo, tra pochi giorni ci sarà il primo dibattito televisivo tra i candidati Repubblicani. Lo organizza FoxNews, partecipano i primi dieci candidati nei sondaggi nazionali più recenti (un criterio non proprio a prova di bomba). A oggi i dieci dovrebbero essere Trump, Bush, Walker, Huckabee, Paul, Rubio, Carson, Cruz, Christie e Perry, con gli ultimi due a rischio e Santorum e Kasich in rimonta.
Nel frattempo i Democratici se la godono?
Mica tanto. Hillary Clinton ha ancora problemi per la storia dell’indirizzo email privato usato quando faceva il Segretario di Stato. In quattro casi, scrive il Wall Street Journal, ha mandato o ricevuto informazioni riservate da quell’indirizzo. Lei dice che quelle informazioni sono state rese top secret retroattivamente. C’è un’indagine in corso, se ne riparlerà. Ma la settimana è stata complicata soprattutto per Bernie Sanders, il senatore socialista del Vermont che piace un sacco a sinistra.
Sta venendo al pettine uno dei principali nodi della candidatura di Sanders: viene dal secondo stato più bianco d’America e stando ai sondaggi piace praticamente solo ai bianchi (peggio ancora: ai maschi bianchi). Il suo comizio base non parla molto di questioni che riguardano direttamente i neri e i latinoamericani. Qualche giorno fa durante un evento pubblico è stato contestato da un gruppo di attivisti neri e ha gestito la cosa malissimo: prima ha cercato di farli star zitti, poi ha urlato, poi ha risposto in modo molto vago alle loro richieste, facendoli infuriare ancora di più. Nel frattempo i media stanno raccontando della volta che Sanders si oppose a una riforma dell’immigrazione – per evitare che gli immigrati togliessero posti di lavoro alla classe operaia americana, ahia – e di come la lobby delle armi abbia di lui un’ottima opinione. Non bene.
Tra i Repubblicani si è candidato John Kasich
Nove volte deputato e due volte governatore dell’Ohio, uno degli stati decisivi alle presidenziali, Kasich dovrebbe essere tra i grandi favoriti delle primarie Repubblicane: invece non lo è e forse non parteciperà nemmeno al dibattito del 6 agosto (cosa che sarebbe per lui piuttosto imbarazzante, visto che si tiene proprio in Ohio). La ragione per cui non è tra i favoriti alle primarie: è molto moderato e centrista (infatti ha vinto due volte in Ohio!). Secondo me Kasich – si pronuncia keisik – è materiale soprattutto da vicepresidenza, ma potrebbe far bene in New Hampshire: e sarebbe comunque interessante vederlo ai dibattiti tv, perché ha noti problemi di controllo dell’ira.
Bonus
Chris Christie, il governatore del New Jersey, quello mezzo italiano e caduto in disgrazia, ricordate? Siccome è molto forte nei discorsi a braccio, una troupe della sua campagna lo segue sempre e confeziona velocemente spot su qualsiasi argomento solo montando pezzi dei suoi discorsi, approfittando della sua efficacia oratoria. È autentico, è economico, è rapido, funziona. Questo è quello sull’accordo sul nucleare iraniano, per esempio.
Bonus/2
E Scott Walker, il governatore del Wisconsin anti-sindacati, ve lo ricordate? È considerato uno dei favoriti ma si sta schierando molto a destra – forse troppo – per uno che vuole vincere a novembre, e ha fatto un po’ di scelte strategiche avventate. Questa settimana ha detto di non sapere se essere omosessuali è una scelta o no. Viene da chiedergli, come ha scritto il Washington Post: e tu, Scott Walker, quando hai deciso di essere eterosessuale?
Tre domande che ho ricevuto (mandatene!)
Chiede Marco S., perché ci sono così tanti candidati Repubblicani?
In breve, perché pensano che questa per loro sia la volta buona. Così come i Democratici stanno alla larga – il principio dell’alternanza nel 2016 li penalizza e c’è una candidata strafavorita – i Repubblicani pensano che nel 2016 l’aria che tira li avvantaggi (è vero) e che non c’è un candidato così forte da rendere l’impresa impossibile (è vero). Quindi chiunque pensi di avere anche una piccola chance dice “ora o mai più” e si candida.
Chiede Jacopo G., perché Trump si è candidato?
La risposta più facile sarebbe: perché nonostante tutto è così megalomane da pensare di poter fare il presidente. Ma Trump è un imprenditore di successo, non un matto. Quindi le ipotesi fondamentali sono due: far parlare di sé (e rendere quindi più popolari e redditizi i suoi prodotti, i suoi casinò, i suoi reality show, etc) oppure ottenere qualcosa dai Repubblicani in cambio di un ritiro. Licenze per i suoi casinò, per esempio: lo ipotizza l’Economist di questa settimana.
Chiede Lorenzo O., cosa pensi di questo articolo di Salon? Al Gore potrebbe ancora candidarsi?
Quelli di Salon – un magazine online molto di sinistra – non si arrendono a Clinton ma capiscono che con Sanders non si va da nessuna parte, quindi dicono: candidiamo Al Gore! Non penso sia un’ipotesi credibile, un po’ perché Gore sembra non avere nessuna voglia – si tirò indietro nel 2008, quando i Democratici giocavano in discesa, figuriamoci ora – e un po’ perché avrebbe molti degli stessi problemi di Clinton (già visto, già sconfitto, lontano dalla realtà, etc). L’unica alternativa a Clinton tra i Democratici – improbabilissima ma tecnicamente possibile – al momento si chiama Joe Biden.
Cose da leggere
– Jeb Bush Is Meaner Than He Looks, di Larry Sabato su Politico
– Forecasters Expect a Strong Economy for the 2016 Presidential Election, di Neil Irwin sul New York Times
– Where Candidates Stash Their Cash, di Phil Mattingly su Bloomberg
– Everything you ever wanted to know about how Washington Post polling works, di Philip Bump sul Washington Post
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