–507 giorni alle elezioni statunitensi
–507 giorni alle elezioni presidenziali statunitensi
–226 giorni all’inizio delle primarie, in Iowa
Questa è praticamente la prima newsletter – dopo l’inizio della settimana scorsa – e arriva già a quasi 1.000 iscritti, così, sulla fiducia: grazie.
Di cosa parleremo:
– di Jeb Bush
– del matto nome di Jeb Bush
– di Charleston e del Papa
– di Donald Trump ma in 10 parole: non una di più
– di due piccoli guai di Hillary Clinton
Jeb Bush
È stata innanzitutto la settimana in cui si è candidato Jeb Bush. Nel suo discorso ha fatto promesse economiche impegnative – crescita del 4 per cento l’anno, 18 milioni di nuovi posti di lavoro – e ha puntato sul suo passato di governatore della Florida. È un’idea intelligente, anche perché parliamo del periodo 1999-2007. Questo vuol dire che a) erano anni precedenti alla grande crisi, quando tutti gli Stati Uniti se la passavano meglio che adesso b) moltissimi elettori non ne hanno memoria, e quindi lui può raccontare quello che vuole più o meno liberamente.
Jeb Bush – dimagritissimo – non ha parlato dei suoi punti deboli, per esempio il suo giudizio sulla guerra in Iraq o sulla riforma dell’immigrazione, ha tentato di presentarsi come un outsider (ehm) e ha insistito sul fatto che lui è in grado di «fare le cose», di «sistemare quello che non funziona», con un approccio molto concreto che sottintende: non pensate al fatto che sono un Repubblicano o un Bush, ignorate i più matti tra quelli che mi sostengono, io sono un pragmatico. Questa strategia mi ha ricordato quella di suo fratello George nel 2000, quando spiegava che le differenze tra lui e Al Gore non erano tanto politiche o filosofiche bensì che «I can get it done». Questo è il video famosissimo in cui, durante un dibattito televisivo, George W. Bush ripete questa frase e al povero Gore viene voglia di menarlo. Notate il tempismo perfetto della battuta finale di Bush – «and I believe I can» – che in queste cose era formidabile.
C’è stata un’altra cosa interessante nel discorso di Jeb Bush: ha parlato molto e bene in spagnolo. I Repubblicani nelle ultime due elezioni presidenziali hanno perso – persino in posti come il Colorado – anche perché i latinoamericani votano sempre più a sinistra e sono il gruppo demografico che cresce di più. Attenzione: votano sempre più a sinistra non tanto perché siano di sinistra – sono molto religiosi e socialmente conservatori, 15 anni fa stavano in maggioranza con George W. Bush – ma perché hanno a cuore la riforma dell’immigrazione che i Repubblicani non vogliono nemmeno sentire nominare. Quindi Jeb Bush che parla in spagnolo attirerà certamente la loro attenzione, ma poi i latinoamericani vorranno sapere: la riforma la farai o no? E soprattutto: come? Dare questa risposta per Bush non sarà semplicissimo.
Bonus
Jeb non è un nome bensì l’acronimo di John Ellis Bush. Sembra che abbia iniziato la mamma a chiamarlo così, va’ a sapere perché. È come se in Italia chiamassimo Maria Elena Boschi “Meb”. Poi mi hanno fatto notare che la ministra Boschi su Twitter si chiama effettivamente @meb.
Charleston
Mercoledì sera a Charleston, in South Carolina, un ragazzo di 21 anni è entrato in una storica chiesa della città e ha ucciso 9 persone, tutte afro-americane. Chi conosce il ragazzo, Dylann Roof, racconta che è un razzista e più volte aveva manifestato intenzioni violente. Dal punto di vista politico, fatti come questo aprono ciclicamente la questione delle armi; quella dell’intolleranza razziale invece negli Stati Uniti non si è mai davvero chiusa e nell’ultimo anno – da Ferguson in poi – è stata attuale come non era da tempo.
Sulle armi è inutile aspettarsi passi avanti, meno che mai in campagna elettorale e con entrambi i rami del Congresso in mano ai Repubblicani. Il discorso incazzato e rassegnato di Obama – dal minuto 3 in poi, soprattutto – rende l’idea: niente si muoverà per adesso.
Sulla questione razziale, per i candidati Repubblicani il problema al momento è: dico o no che è stata una strage motivata dall’odio contro i neri? Al momento la risposta che si sono dati è “no”, ma questa non è una storia che si chiuderà questa settimana. Un premio particolare però se lo merita Rick Santorum, secondo cui la strage di Charleston è stata innanzitutto un attacco contro la religione.
Occhio al Papa
A proposito di religione, l’encliclica di Papa Francesco sull’ambiente sta mettendo un po’ in imbarazzo quei candidati Repubblicani cattolici che solitamente sono molto cauti – se non addirittura scettici – quando devono dire se il riscaldamento globale esiste e se è o no causato dall’uomo: per esempio Jeb Bush, Marco Rubio, Bobby Jindal e Rick Santorum. È una cosa che può pesare davvero, per le loro sorti elettorali? No, non da sola. Ma si riparlerà anche di questo, soprattutto durante la stagione dei dibattiti televisivi.
Donald Trump in 10 parole
Non è una cosa seria: fa ridere anche i Repubblicani.
Due piccoli guai per Hillary Clinton
Il primo guaio: uno dei suoi irrilevanti sfidanti alle primarie – Bernie Sanders, senatore del Vermont, un simpatico settantenne che si dichiara socialista – sta ottenendo buoni risultati nei sondaggi in New Hampshire, il secondo stato in cui si vota durante le primarie. I sondaggi a questo punto non valgono niente – nel 2008 tra i Repubblicani davano in testa Rudolph Giuliani, nel 2012 Rick Perry, eccetera – e il New Hampshire è vicino di casa del Vermont, ma è un segnale che Sanders sta sorpassando gli altri irrilevanti candidati Democratici. Non otterrà mai abbastanza voti da vincere ed è probabile che si squagli dopodomani, ma i sondaggi mostrano che può catalizzare soprattutto i consensi dei maschi che non vogliono votare Hillary Clinton (brutto segnale) e diventare, al di là delle sue idee, l’unica alternativa per gli elettori Democratici che non vogliono votare per la grande favorita.
Il secondo guaio è più preoccupante: si tratta sempre di un sondaggio ma di quelli che contano. In Ohio, in Florida e in Pennsylvania, tre degli stati che decidono le elezioni presidenziali a novembre, una maggioranza degli elettori ha detto che non considera Hillary Clinton onesta e affidabile. È un problema noto a lei e al suo staff, e il tempo per invertire questi numeri c’è, ma se tra un anno saremo ancora da queste parti nello staff di Hillary Clinton non saranno affatto tranquilli.
Un video
Una scena di The West Wing, la più bella serie tv mai girata sulla politica americana, di un episodio girato nel 2001. Si parla di armi esattamente come se fosse il 2015.
Cose da leggere
– Il testo del discorso di Jeb Bush
– Why Marco Rubio scares all other presidential candidates, di John Podhoretz sul New York Post
– Charleston and the Age of Obama, di David Remnick sul New Yorker
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