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Il problema dell’Italia sono i suoi giornalisti?

La società britannica Ipsos Mori ha chiesto a un campione rappresentativo di italiani – e spagnoli, svedesi, inglesi, tedeschi, etc – un po’ di informazioni sul loro paese. Quanti sono secondo loro gli immigrati che vivono nel loro paese. Quanti sono i disoccupati del loro paese. Quante sono le persone con più di 65 anni. Quante sono le ragazze madri. Quanti sono i musulmani, quanti sono i cristiani. Eccetera. L’Italia è risultato il paese più ignorante di tutti: quello che pensa le cose più sbagliate su se stesso.

Crediamo che ogni anno ci siano in Italia un 17 per cento di ragazze madri: sono lo 0,5 per cento. Crediamo che in Italia ci sia un 20 per cento di musulmani: sono il 4 per cento. Crediamo che in Italia ci sia un 49 per cento di disoccupati: sono il 12 per cento. Crediamo che in Italia ci sia un lunare 30 per cento di immigrati: sono il 7 per cento. Nessuno ha percezioni fuori dalla realtà come noi. Queste sono le percezioni sulla base delle quali ci facciamo un’opinione e andiamo a votare; queste sono le percezioni con cui i politici devono fare i conti – in un senso o nell’altro – quando cercano il consenso degli italiani.

La cosa più istintiva da fare è imputare questa tragica disinformazione agli italiani stessi: d’altra parte, in ultima istanza, ognuno di noi è responsabile di quel che è. Guardare i telegiornali è gratis; leggere i giornali online pure, richiede solo di chiudere Whatsapp per qualche minuto. Un popolo che si informa così poco, che legge così pochi giornali, che è così poco interessato a conoscere quello che gli succede attorno se non in discussioni da bar, non può che avere terribilmente torto su tutto – spesso anche con una certa sicumera – e decidere così le cose sbagliate per le ragioni sbagliate. Ma. Ma. Sicuri che il problema sia nella domanda e non nell’offerta? Lo dico da giornalista: sicuri che il giornalismo e l’editoria debbano essere gli unici settori industriali a cui sia concesso dare ai clienti la colpa dei loro fallimenti? Nessun venditore di frigoriferi accuserebbe della sua crisi le persone che non comprano abbastanza frigoriferi. Già vi sento: “Ma l’informazione non è un frigorifero!”. Certo, certo. Se c’è una cosa su cui siamo i migliori, in Italia, è batterci il petto declamando solennemente il valore dell’informazione. E poi tornare a fare pessima informazione. Sicuri che la patologica e sistematica diffusione di notizie false e imprecise, i toni terrorizzanti e apocalittici usati su qualsiasi cosa, non abbiano a che fare con la disinformazione degli italiani?

Da un post di Luca Sofri di qualche giorno fa:

Perché la produzione di allarme, enfasi, drammatizzazione, al-lupo-al-lupo, se attuata su questa grandissima scala e in questo delicato settore non solo ne stimola la domanda, ma cambia radicalmente un paese intero e la sua cultura. Come americani diventati obesi a causa dell’offerta di cibo poco salubre, o come tabagisti ammalati di cancro perché il mercato del tabacco ha costruito una dipendenza, i fruitori di notizie italiani (tutti, da chi legge i giornali a chi guarda la tv a chi sta su internet) sono stati formati e assuefatti a un modo di pensare per cui ogni singolo evento – o persino la mancanza di un evento – è foriero di drammi o comunque brutte sorprese: sulle scale più diverse, dalla politica alla cronaca allo sport ai grandi eventi naturali ai palinsesti della tv, ogni giorno tutto è “sull’orlo di”, annuncia rivolgimenti, o minaccia tragedie. Che poi – peraltro – non si verificano nella stragrande maggioranza dei casi, ma per allora ne staremo già annunciando altre. E questo ha creato un paese obeso di diffidenza, di paura, di sfiducia, di egoismo, per i cui cittadini ogni cosa è cattiva, infida o almeno sospetta. E ogni singolo fatto non ha più valore di per sé – è sempre troppo poco – ma solo per le cose più spaventose che può annunciare.

Prendete lo spazio dedicato dalla stampa a qualsiasi cosa riguardi l’immigrazione in Italia. Prendete lo spazio allarmista dedicato agli sbarchi a Lampedusa, quando la grandissimissima maggioranza dei migranti irregolari arriva via terra e via aria. Addirittura il 73 per cento arriva in aeroporto con visto turistico e rimane dopo la scadenza: una storia enorme, che salvo poche eccezioni i giornali hanno ignorato.

Ancora: prendete il dato sulla disoccupazione. Che ignoranti gli italiani che pensano ci sia un 49 per cento di disoccupati, quando in realtà sono il 12 per cento! Peccato che siano i giornali italiani, tutte le volte, a presentare i dati sulla disoccupazione – che sono gravi, mi sento scemo a doverlo specificare – in modo errato e fuorviante; sono i giornali italiani a urlare nei titoli la balla “metà dei giovani senza lavoro” o “un giovane su tre è disoccupato“, costringendo l’ISTAT tutte le volte a fare smentite e chiarimenti.

Se è vero che una democrazia può dirsi compiuta solo se è adeguatamente informata, allora quello che rende l’Italia una democrazia incompiuta forse non sono né il Patto del Nazareno né il gruppo Bilderberg: forse sono i suoi giornali. Si fanno leggere da pochi italiani e informano male quelli che ancora li comprano. Hanno prodotto, attivamente o per inedia, questo tragico panorama di disinformazione. E quindi se vendono meno forse è perché se lo meritano, malgrado tutti noi pronti a batterci il petto: invece che fare il baluardo della democrazia, contribuiscono alla sua destabilizzazione.

P.S.: Leggere anche Arianna Ciccone.