Libri che ho letto
Sono stato in vacanza un po’ di giorni e ho avuto modo di fare una cosa che di norma riesco a fare poco: leggere libri. E ho letto questi.
Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace
È il reportage che DFW scrisse per la rivista Harper’s nel 1996, inviato per una settimana in una crociera extralusso ai Caraibi. Ne sentivo parlare da anni, ne avevo letto anche qualche pezzetto e lo avevo visto citato ovunque. Malgrado la quarta di copertina tenti di spacciarlo come una specie di roba alla Michael Moore – “una satira spietata sull’opulenza e il divertimento di massa della società americana contemporanea” – non è niente di così banale e già visto un miliardo di volte, bensì è un formidabile reportage che non ha niente di “satirico” e ha invece moltissima pietà: è un racconto, preciso, profondo e scritto in modo eccezionale.
La versione di Barney, di Mordecai Richler
Con dieci anni di ritardo sul resto del mondo, lo so, e con due anni di ritardo dal giorno in cui mi è stato regalato proprio allo scopo di colmare la lacuna. Per due giorni quasi non ho fatto altro. Divertentissimo e tristissimo. Una delle cose che mi è piaciuta di più non posso nemmeno accennarla, se no la rovino a chi non lo ha letto.
Kansas City 1927 Anno II, di Diego Bianchi e Simone Conte, con disegni di Zerocalcare
Già l’avevo letto e me lo so’ riletto. Ok, lo ammetto, solo le vittorie.
Tennis, di John McPhee
È un libro ma in realtà sono tre. Il primo è Levels of the Game, che è un pezzo di giornalismo di mostruosa bravura: McPhee racconta la semifinale degli US Open 1968 tra Clark Graebner e Arthur Ashe, e lo fa davvero punto dopo punto in un modo che non annoia mai, anche perché nel frattempo, tra un punto e l’altro, racconta le storie di entrambi i tennisti e racconta anche i loro pensieri durante ogni punto. Prendete il pezzo di sport più bello che avete letto e unitelo al ritrattone da New Yorker più bello che avete letto: li sommate e ottenete Levels of the Game. Il racconto dei pensieri dei tennisti durante la partita è reso possibile dal fatto che McPhee ha rivisto tutta la partita, anche più di una volta, insieme agli stessi Graebner e Ashe, e quindi sa quello che pensavano mentre giocavano. Gianni Clerici sostiene che sia il più bel libro mai scritto sul tennis. In coda a Levels of the Game c’è un vecchio e godibilissimo articolo di McPhee per il New Yorker, stavolta sull’erba di Wimbledon e sull’uomo che ne era responsabile nel 1966, e uno di Matteo Codignola – editor di Adelphi, peraltro traduttore dei due pezzi di McPhee e anche di Barney – che racconta un po’ di altre cose interessanti su Ashe, su Connors, su McPhee e sul tennis raccontato.
Contro i beni comuni, di Ermanno Vitale
È una specie di debunking di un altro libro uscito per Laterza, che si intitola invece “Beni comuni. Un manifesto”, e prende di petto la retorica e l’ideologia dei beni comuni. È interessante e dice secondo me molte cose sensate, demolendo una certa idea superficiale e facilona che funziona solo finché resta il più astratta possibile. Ma è anche un testo strutturato su un piano molto filosofico, che cita Rousseau e dieci altri autori dando per scontato tutto su di loro, e quindi è da considerare per iniziati: per chi si ricorda almeno qualcosa della filosofia politica studiata all’università, diciamo.
Rughe, di Paco Roca
Graphic novel. Bello bello. Si legge in un’ora e vi si bagnano gli occhi: garantito. Le prime tavole potete leggerle qui.
Contro gli specialisti, di Giuliano Da Empoli
È una fotografia di questo momento di transizione globale dalla crisi alla ripresa economica, e di quello che degli ultimi cinque anni forse ci porteremo dietro a lungo. Forse alla lunga il testo è un po’ ripetitivo: d’altra parte la tesi è interamente enunciata nell’introduzione e il resto sono informazioni e storie a suo sostegno. Ma molte di quelle storie vi faranno venire voglia di andare su Internet e leggerne di più.