Questo sito contribuisce alla audience di IlPost

Bersani e la strategia della perdita di tempo

«Chiediamo ai nostri alleati di venire con noi, stiamo discutendo. Chiediamo a Scelta Civica di avere un’intesa, è possibile? Chiediamo alle altre forze che hanno minori disponibilità, a non impedire questa soluzione. A non impedire questa soluzione. Chiediamo a Pdl e Lega di uscire da ambiti di prodromo della campagna elettorale, anzi, di cascame di una campagna elettorale, e arrivare a un’assunzione di responsabilità. E chiediamo al Movimento 5 Stelle, in un momento decisivo alla guida del paese, se vogliono essere una comunità segregata o se vogliono essere una forza politica che si prende qualche responsabilità, nei limiti in cui può prendersela. Ho detto “non impedire una soluzione”.»

Questo ha detto ieri Bersani, si può ascoltare qui. C’è un’enfasi voluta su un’espressione ripetuta tre volte e sempre molto scandita – non impedire – che insieme a tutto il resto fa tradurre così le intenzioni del Partito Democratico: allearsi con Monti e ottenere dal Movimento 5 Stelle la desistenza, il “non impedire” la nascita di un governo di minoranza. Dopo un mese di corteggiamento anche un po’ patetico – «merde!» «vienimelo a dire in Parlamento!» «stronzi!» «vienimelo a dire in Parlamento!» – durante il quale si è detto che l’unico governo possibile era quello del Partito Democratico col Movimento 5 Stelle, siamo tornati al punto di partenza.

Il problema è che rispetto a un mese fa la realtà dei numeri non è cambiata, e quindi persino la strada auspicata da Bersani è fuori dalla realtà. Per partire il governo ha bisogno di un voto di fiducia al Senato. Prima ancora, serve che Napolitano veda concretamente l’esistenza di una maggioranza al Senato. Ammesso che si realizzasse lo scenario descritto ieri da Bersani, ammesso che Napolitano lo ritenga meritevole di un vero incarico di governo, ci troveremmo un governo di minoranza composto dal Partito Democratico e da Scelta Civica e tenuto in piedi da un doppio assurdo: il Movimento 5 Stelle che si finge assente durante il voto di fiducia al Senato, compiendo il più novecentesco dei trucchetti parlamentari, e il PdL e la Lega che decidono di rimanere in aula garantendo il numero legale. Saremmo persino oltre il “governissimo”: servirebbe l’assenso di tutte le forze parlamentari. Mi viene da dire “auguri”, se non fossi certo che Napolitano non darebbe mai il suo assenso a uno scenario simile.

Sarebbe offensivo pensare che Bersani non si renda conto di tutto questo, per quanto appena due mesi fa non si sia reso conto di come il suo vantaggio si stava sbriciolando (ed era evidente). Quindi ci si chiede dove voglia andare a parare. La risposta sta probabilmente nell’incredibile allungamento di queste consultazioni. Venerdì Napolitano ha chiesto a Bersani di “verificare l’esistenza di un sostegno parlamentare certo” per un suo governo. Siamo a martedì mattina e Bersani non ha ancora iniziato, dovrebbe farlo oggi. In questi giorni ha visto don Ciotti, ha visto Saviano (lo avesse fatto Veltroni…), ha visto sindacati e associazioni di categoria. Bersani tornerà al Quirinale addirittura giovedì. Napolitano probabilmente deciderà di ricominciare da capo. Intanto sarà passata una settimana dove potevano passare al massimo due giorni. E ogni settimana che passa è una settimana di meno che ci separa dal 15 aprile, quando si inizierà a votare per il nuovo presidente della Repubblica, quello che se vuole può sciogliere le camere: ogni settimana che passa è insomma un punto in più per le nuove elezioni, come fa notare Lina Palmerini sul Sole, e uno in meno per il “governo del presidente” che metterebbe spalle al muro il PD. A questo siamo, quindi: la strategia della perdita di tempo.