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Dichiarazione di voto

Con parecchi dubbi, domani voterò Partito Democratico alla Camera e al Senato. In regione, con nessun dubbio, voterò Umberto Ambrosoli come candidato presidente e Pietro Bussolati (PD) come candidato a consigliere regionale. Questa è la versione breve. Di seguito la versione lunga, dove spiego il perché e il percome.

Quattro brevi premesse
La prima cosa da dire, per capire il resto, è che sono liberale e di sinistra (esistiamo, sì). Ho votato Renzi alle primarie, ho criticato a lungo il celodurismo spaccone da branco di Giovani Turchi e post-marxisti del PD (invidiando sinceramente, però, la loro capacità di muoversi collettivamente e fare squadra). Vado dicendo dal 2008 che l’approccio “coalizionale” di Bersani è costitutivamente debole e porta dritti, piaccia o no, alla costruzione di alleanze larghe abbastanza per vincere, forse, ma non per governare. Nel giochino “Voi siete qui” – per quel che vale – il mio pallino appare praticamente sovrapposto alla lista dei Radicali, molto vicino a quella del PD e poi, nell’ordine, a Fermare il Declino e Scelta Civica.

La seconda cosa da dire è che avrei potuto considerare risolta la scelta di chi votare basandomi sul pezzo di carta che ho firmato quando ho votato alle primarie, che mi impegnava a sostenere il centrosinistra, e ho preferito di no. Capisco le ragioni di quel meccanismo, anche se non le condivido, ma credo che sia banale buon senso dire che i voti non si promettono, e che a fronte di fatti nuovi – la candidatura Monti, per esempio, oppure il caso Monte dei Paschi, oppure qualsiasi cosa non sia successa – ogni elettore è politicamente libero di cambiare idea. Chi pensa che sarebbe stato inopportuno e scorretto si chieda se davvero nessun fatto nuovo – scandali, bugie, candidature impresentabili – avrebbe potuto mai fargli cambiare idea.

La terza cosa da dire è che il funzionamento della legge elettorale attribuisce a questo voto un significato politico generale, rendendolo piuttosto distante dalla scelta delle persone candidate in ogni lista. Quindi mi sono sforzato di decidere a prescindere dal fatto che tra i candidati del Partito Democratico e di Scelta Civica ci siano due amici veri, Ivan Scalfarotto e Marco Simoni, ma considerando un merito per le liste di cui sopra averli candidati, insieme a molte altre persone di cui ho ottime opinioni (per esempio Pippo Civati, candidato con il PD, o Andrea Romano e Irene Tinagli, candidati con Scelta Civica).

La quarta cosa da dire, quindi, è che ho preso in considerazione di votare Partito Democratico, Scelta Civica, Fermare il Declino e i Radicali, diversi tra loro ma con diverse cose in comune. Scartati gli ultimi due per le loro dimensioni – sono i grandi partiti a cambiare le cose, nelle grandi democrazie – e le diverse impresentabilità dei loro leader, alla fine la scelta si è ridotta a Partito Democratico e Scelta Civica.

Scelta Civica
Sono tra chi avrebbe preferito che Mario Monti non si fosse candidato alla presidenza del Consiglio, tenendo fede a quanto aveva detto a lungo sul carattere temporaneo della sua esperienza politica: penso che abbiamo perso uno statista – non ce ne sono molti, in circolazione – e abbiamo guadagnato un politico migliore di molti altri, ma non eccezionale. Credo che Monti sia sincero quando dice di essersi voluto candidare per evitare che vada sprecato quanto fatto nell’ultimo anno, perché non si fida di una politica che non è cambiata abbastanza. Ma allora avrei preferito una sua collocazione più netta e di rottura col passato: in altre parole, avrei preferito che Monti e i migliori tra i suoi (quelli che fanno le liste di Scelta Civica alla Camera, diciamo) avessero tentato di fare un’OPA ostile nei confronti di Pierferdinando Casini e Gianfranco Fini, che rappresentano il fallimentare passato italiano almeno quanto Berlusconi e Bersani, invece che allearsi con loro. Penso che questo avrebbe giovato alla forza della loro proposta e – lo so, non esiste controprova – anche in termini elettorali avrebbe fruttato di più di quei voti (sempre meno, peraltro) che questi due personaggi portano in dote con loro. Devo affidare le mie speranze di riforme liberali a Casini e Fini? Scusate, non mi fido. Questa è la prima ragione per cui – benché teoricamente più vicino alle idee liberali di molti che stanno dentro Scelta Civica – ho deciso di votare Partito Democratico.

La seconda è che, tuttora, nessuno sa bene cosa succederà dopo le elezioni a questa coalizione. Mario Monti con ogni evidenza non è il capo di un partito e non lo diventerà. Il suo peso politico è stato già ridotto dalla decisione di “salire in politica” e sarà ulteriormente logorato dal risultato elettorale, a meno che questo non sia incredibilmente positivo, cosa improbabile. Scelta Civica esisterà ancora, dopo le elezioni? Diventerà un partito? Esisterà da sola o insieme a UdC e FLI? Cosa terrà tutto insieme? La generica adesione ai principi dell’agenda Monti? Se il centrosinistra dovesse avere bisogno di 10 seggi al Senato, chi deciderà cosa fare dentro Scelta Civica? Monti? Monti e Casini? La storia italiana recente ha mostrato quanto si possono rimescolare le carte in una legislatura. Anche senza dubitare, per adesso, della lealtà dei parlamentari di Scelta Civica a Monti, sono piuttosto certo che, se penserà gli possa essere utile, Casini impiegherà una frazione di secondo ad andare per la sua strada e sbarazzarsene. Sono bipolarista, anzi, bipartitista: votando Scelta Civica voterei un terzo polo, che potrebbe diventare facilmente un terzo e un quarto polo (e ritrovarsi in assoluto quinto o sesto, superato da centrodestra e M5S).

Partito Democratico
Il Partito Democratico, bene o male, mi ha dato potenzialmente la possibilità di partecipare alla scelta del segretario del partito, il candidato alla presidenza del Consiglio e un po’ di futuri parlamentari. La sua linea politica – discutibile – è frutto delle scelte di cui sopra. Dentro il Partito Democratico e le sue liste ci sono moltissime delle persone che hanno votato e sostenuto Renzi alle primarie, e che ci riproveranno la prossima volta: se ci riusciranno, il Partito Democratico diventerà un’altra cosa. Insomma, il Partito Democratico è una cosa che esiste da prima di ieri e che continuerà a esistere oltre domani: e qui dobbiamo scegliere qualcuno su cui contare almeno per i prossimi cinque anni. Questo non è poco, e quando vi viene di darlo per scontato – a me capita spesso – guardate cosa succede altrove.

Dal punto di vista programmatico, ci sono cose su cui il PD mi dà più garanzie di quante me ne dia Scelta Civica (diritti sociali e civili, attenzione generale ai più deboli, valorizzazione della scuola pubblica), e altre su cui me ne dà di meno (politiche fiscali e del lavoro). Ma sulle cose su cui ho meno garanzie pendono comunque i dubbi generali che ho su Scelta Civica e mi rassicura il pragmatismo di Bersani, che viene da una tradizione politica che ha sempre fatto l’opposizione un po’ più a sinistra e il governo un po’ più al centro (con conseguente smarrimento della base elettorale, ma questo è un altro discorso). Per il resto, non me la sto a raccontare: il Partito Democratico di Bersani ha tutti i difetti storici dei partiti della sinistra italiana, tra cui un’allarmante lentezza e un deprimente e subalterno collateralismo con il sindacato e con la magistratura. Ma la sua offerta mi pare globalmente la più solida e credibile tra quelle in campo, la meno improvvisata, quella di cui potersi fidare di più; e il modo in cui si è arrivati a quell’offerta mi pare ragionevole e scalabile, così come mi pare sensato che Bersani abbia l’opportunità di mettere in pratica quanto ha promesso vincendo prima il congresso del Partito Democratico e poi le primarie del centrosinistra. Così da non avere più alibi, dopo: né lui, né noi. Nei grandi paesi occidentali, quelli a cui noi liberali di sinistra vorremmo molto assomigliare, funziona così.