Sulle regole delle primarie
Le regole delle primarie non sono un dogma, naturalmente: si possono cambiare. Dato che si tratta di cose importanti e delicate, però, sarebbe il caso di spiegare perché. I cambiamenti di cui si parla – senza che si capisca bene, tra l’altro, da dove arrivano di preciso – sono sostanzialmente due: introduzione del doppio turno e istituzione di un albo degli elettori a cui registrarsi prima del voto in un luogo – attenzione – che non sarà il seggio: sarà un “ufficio elettorale”, uno per ogni comune. Nessuna delle due cose è di per sé scandalosa, anche se la seconda inserisce un meccanismo di tortuosità sospetta. Ma appunto parliamone.
Invece non se ne parla. Le spiegazioni fornite da Nico Stumpo, responsabile organizzativo del PD, citate dai giornali, sono queste:
«Vedo che Renzi chiede con insistenza perché si devono cambiare le regole. Vorrei fargli notare sommessamente che sabato riuniamo l’assemblea nazionale del Pd per cambiare la regola dello statuto in modo da consentirgli di candidarsi alle primarie»
Questa, come è evidente, non è una risposta. Sì, bisogna cambiare una regola dello statuto per permettere a Renzi di candidarsi alle primarie. Bersani vuole che quella norma si cambi: pensa giustamente che ci sia in ballo una questione politica da affrontare e risolvere politicamente, e non con le carte bollate. Non si capisce però il nesso tra questa modifica e le altre, a meno che – e a giudicare dall’atteggiamento da bulletto di Stumpo un po’ il sospetto viene – il nesso non sia: caro Renzi, cambiamo una norma per fare un favore a te, quindi cambiamo anche qualche norma per fare un favore a Bersani. O tutte o nessuna.
Sperando che non sia così, resta che per il momento una risposta manca. Possiamo cercare di arrivarci con la logica, però. L’introduzione del doppio turno potrebbe servire per far sì che il vincitore abbia una legittimazione forte, superiore al 50 per cento dei voti. Bisogna dire che fin qui l’assenza di un doppio turno non ha mai rappresentato un problema per la legittimità dei candidati vincitori, anche in presenza di più di due seri contendenti (si pensi a Genova, per esempio). E anzi i problemi di legittimità e debolezza del candidato sono arrivati (come comprensibile, se ci pensate) dopo i grandi e incontestati plebisciti, come quello per Prodi nel 2005. Detto questo, il doppio turno di per sé non è una cosa scandalosa, ci può stare: diventa scandaloso solo se si introduce una norma che impedisce di votare al secondo turno chi non ha votato al primo. Questa norma sarebbe evidentemente volta a limitare e restringere la partecipazione al voto. Aspettiamo di capire meglio.
Poi c’è la questione dell’albo degli elettori. Alle primarie i votanti hanno sempre firmato un testo con cui dichiaravano di essere elettori di centrosinistra e davano la propria disponibilità all’inserimento del proprio nome in un albo che sarebbe rimasto a disposizione dei partiti. L’albo degli elettori non è una cosa scandalosa. La novità in questo caso sarebbe che gli elettori non potrebbero più firmare questa sottoscrizione al seggio, ma dovrebbero farlo in un “ufficio elettorale”: da un’altra parte. Questa norma avrebbe evidentemente l’effetto di restringere la partecipazione al voto, tagliando gli elettori meno motivati, meno informati o con meno a tempo a disposizione: quelli che non riuscirebbero o non si ricorderebbero di andare a ritirare il certificato, o che il giorno del voto non avranno tempo o voglia o modo di prendere la macchina, andare nell'”ufficio elettorale” della propria città, fare la fila, registrarsi, ritirare il certificato, tornare al seggio, fare la fila, votare.
L’unica possibile giustificazione di questa norma è: temiamo infiltrazioni malintenzionate, vogliamo appositamente rendere più tortuose le operazioni di voto per complicarne i tentativi di inquinamento. Una tale preoccupazione andrebbe però giustificata da un elenco di infiltrazioni, brogli e voti inquinati nelle elezioni primarie che si sono svolte prima di questa. In realtà, a fronte di frequenti polemiche e accuse di brogli da parte di chi perde, l’unico caso in cui si sono verificate e documentate irregolarità del genere è accaduto a Napoli. Un caso su decine e decine e decine, per giunta un caso locale e non nazionale, dove l’inquinamento del voto è molto più complicato. E allora qui la situazione sembra somigliare a quello che avviene negli Stati Uniti quando l’estrema destra propone severi controlli sul voto a fronte di brogli o irregolarità di proporzioni irrilevanti, con l’evidente scopo di ostacolare la partecipazione dei cittadini meno informati o meno motivati. Le primarie possono piacere o no, ma qui non si parla di gusti: e non si capisce perché cambiare regole che fin qui hanno funzionato nella quasi totalità dei casi, anche a fronte di conseguenze potenzialmente molto pesanti sulla partecipazione.
Alcuni in giro citano le primarie di Palermo come esempio di “caos” provocato dall’assenza di regole adeguate. Ma non è così: le primarie di Palermo sono state regolarmente vinte da Fabrizio Ferrandelli, con esito confermato dalla commissione dei garanti. Il “caos” fu frutto della decisione di Leoluca Orlando di disattendere l’impegno sottoscritto con la coalizione, rifiutare di sostenere Ferrandelli e candidarsi in prima persona, violando il patto alla base delle primarie. È un rischio forte, e questo sì che è un rischio che a questo giro di primarie esiste: ma nessuna delle modifiche regolamentari affronta questo punto.
Ci sono poi altre due cose che rendono questo quadro ulteriormente preoccupante. La prima è che tutto quello di cui stiamo discutendo oggi non ha una fonte ufficiale: sono voci, affidabili e confermate, ma voci. Affidate alla stampa. Quale organo ha stilato questa bozza? La segreteria del PD? Il settore organizzazione del PD? Il coordinamento del PD? La presidenza del PD? È stato consultato qualcuno nella coalizione, dato che si tratta di primarie di coalizione? Non si sa. La seconda cosa è che l’unico altro caso di primarie del centrosinistra in cui si è assistito a cambi di regole, alcuni anche approvati scandalosamente a corsa abbondantemente iniziata, è accaduto a Firenze nel 2009. Anche quella volta uno dei candidati era Matteo Renzi e tra i suoi avversari c’era il candidato sostenuto “dal partito”. Il fine è noto, il finale anche. Speriamo arrivino smentite, dai.