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Contro i cazzotti educativi

Alla fine si torna sempre lì, alla violenza e al rapporto che abbiamo con la violenza. Ho avuto la sciagurata idea di scrivere su Twitter un paio di cose sull’aggressione dell’allenatore della Fiorentina a un suo calciatore, scoprendo che la grandissima maggioranza delle persone pensa che l’allenatore abbia fatto bene, che il ragazzetto viziato se l’era meritata, che due cazzotti non hanno mai fatto male a nessuno, che il giocatore gli aveva mancato di rispetto e questo giustificava la reazione. Sono rimasto allibito e pure un po’ spaventato. La gente non si picchia. Non solo non si picchia se tu hai cinquant’anni e sei il capo di un gruppo di ragazzini: la gente non si picchia e basta. Ho scoperto però che questo principio di civiltà basilare, elementare, ha la portata rivoluzionaria e sovversiva delle adozioni per i gay o dell’eutanasia o delle frontiere aperte. “Un papà può dare un ceffone a un figlio irrispettoso, no?”, mi è stato detto con tutta la tranquillità di questo mondo da persone probabilmente placidissime. Non oso pensare a cosa debba subire un bambino ancora oggi, nel 2012, a forza di ceffoni e cazzotti educativi, a forza di punizioni corporali.

Poi c’è una questione altrettanto preoccupante, che ha a che fare con la superficialità con cui sosteniamo una tesi o un’altra per istinto, per riflesso pavloviano, senza farci sopra un pensiero uno. Si può stare dalla parte del ricco calciatore ventenne? No, certo che no. Come abbiamo imparato, i calciatori non hanno diritti, probabilmente in quanto giovani e ricchi. Il calciatore ventenne ha mancato di rispetto all’allenatore, “ha messo in dubbio la sua autorità”, ho letto, quindi ci sta che l’allenatore reagisca male e lo picchi. Ma basta togliere la parola “calciatore” per cambiare tutto. Un capoufficio cinquantenne che picchiasse un arrogantello dipendente ventenne che lo ha preso per il culo non otterrebbe applausi per il brillante intervento educativo. Sarebbe rimosso a furor di popolo, e denunciato. Non avremmo dubbi sulla parte da cui stare, sempre per il riflesso pavloviano. Se il lavoro del dipendente è il calciatore, però, il riflesso pavloviano ci fa dire la cosa opposta. E questo perché non ci abbiamo fatto un pensiero che sia uno, sulla questione: su cosa è giusto e cosa è sbagliato, su cosa si può fare, e quando, e se, e come. Parliamo a caso, per luoghi comuni, per sentito dire, per riflessi condizionati. Siamo messi male.

Ho inserito la moderazione nei commenti a causa di qualche utente con toni particolarmente indecenti o fuori tema. I commenti, per il resto, sono pieni di persone che non la pensano come me: se non vedete apparire il vostro commento non è perché censuro-il-dissenso. Voi direste che è perché avete bisogno di un paio di sganassoni.