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Il paradosso di Mitt Romney

Le primarie repubblicane cominciano tra due settimane. Quanto successo nell’ultimo anno si può riassumere con due frasi, che dicono due cose vere, che sono state ripetute fino al punto da diventare delle banalità, ma che molti non hanno ancora compreso fino in fondo. La prima è questa.

Mitt Romney è il candidato favorito ma non riesce a convincere davvero gli elettori repubblicani, che prima di rassegnarsi a sceglierlo faranno un tentativo con chiunque, da Trump a Bachmann a Perry a Cain a Gingrich.

È indubbiamente vero, ma questo argomento viene spesso equivocato. Capita spesso infatti di sentire citare la debolezza di Romney tra gli elettori repubblicani come debolezza tout court di Romney come candidato, portando la cosa come argomento a favore di Barack Obama. Non è così, e per rendersene conto basta arrivare alla seconda delle frasi di cui sopra.

La base del partito repubblicano si è spostata moltissimo a destra, al punto da essere conquistata da personaggi improbabili come Herman Cain o pazzi estremisti come Michele Bachmann o Sarah Palin.

Anche questo è vero e noto da tempo. Basta però mettere in fila questi due concetti – lo aveva fatto notare Nate Silver qualche tempo fa, ma non trovo il link – per capire che quella che viene a volte spacciata per la debolezza di Romney è in realtà la sua forza. La grande maggioranza degli osservatori e degli analisti sostiene con molti argomenti che alle elezioni presidenziali i blocchi sociali decisivi saranno due: gli elettori indipendenti e centristi, e i democratici delusi da Obama (non solo i cosiddetti liberal). Qualunque sondaggio, inoltre, indica con chiarezza che i candidati preferiti dalla base del partito repubblicano sono quelli che hanno meno possibilità di battere Obama a novembre. Quelli che avrebbero più possibilità di battere Obama, invece, sono quelli che piacciono meno ai repubblicani: praticamente solo Romney. Un ipotetico candidato repubblicano capace di fare il pieno di voti a destra, in questa destra, sarebbe sicuramente indigesto almeno per il 60 per cento degli elettori americani.

È evidente quindi che Romney non ha alcun interesse a corteggiare gli estremisti e guadagnare consensi nella base del partito repubblicano, almeno finché non vedrà vacillare – ma vacillare sul serio – le sue possibilità di vittoria: ogni voto ottenuto a destra, infatti, corrisponde a due voti persi al centro. E dato che non ha nessun vero rivale, ma solo avversari che vivono di fiammate, e data la sua grande superiorità organizzativa ed economica, può già progettare la campagna elettorale in vista del prossimo novembre confidando in una vittoria delle primarie per inerzia, diciamo. È una strategia molto pericolosa, certo, e dagli esiti non scontati. Ma è l’unica possibile per chi vuole avere delle possibilità concrete a novembre del 2012. Romney sta cercando di vincere le primarie senza un voto in più del necessario, per averne il più possibile quando conteranno davvero.