La legge è uguale anche per i calciatori
Agosto è un bel mese se ti chiami Roberto Calderoli. Le balle demagogiche che spari tutto l’anno finiscono addirittura nell’apertura dei giornali online, invece che nel rigagnolo dei boxini: nel 2009, per dire, c’erano state la storia dei dialetti e quella sulle gabbie salariali. Quest’anno è toccato alle minacce ai calciatori, “casta di viziati”. Detto da Roberto Calderoli fa un certo effetto. In giro però ho letto persone tutt’altro che leghiste dire cose tipo che “per una volta Calderoli ha ragione”. Invece no. Che sia agosto o dicembre, salvo grossi cataclismi, se ti chiami Roberto Calderoli non hai ragione mai.
Infatti, i calciatori sono tecnicamente lavoratori subordinati: anche se volessero non pagare le tasse, non possono decidere di non farlo. Le pagano che gli piaccia o no, come qualunque altro dipendente. Nel momento in cui firmano il contratto di lavoro, alcune società concordano con i calciatori una cifra al lordo e altre concordano una cifra al netto. Nel primo caso, il contratto prevede uno stipendio lordo per la cifra concordata, dal quale poi vengono sottratte le tasse: i calciatori che possiedono questi contratti non hanno quindi uno stipendio netto sempre uguale ma, come accade alla gran parte dei lavoratori dipendenti, vedono il loro stipendio salire o scendere secondo l’aumento o la diminuzione delle tasse. Questi calciatori pagheranno il contributo di solidarietà e questo, non intaccando ovviamente il loro stipendio lordo che rimane come da contratto, farà scendere un po’ il loro stipendio netto. E non chiedono trattamenti diversi da questo.
Nel secondo caso, molto comune nel calcio, il contratto sottoscritto tra società e calciatore – cioè tra azienda e lavoratore – prevede una cifra concordata al netto. Vuol dire che al cambiare delle tasse la società si è impegnata a versare al giocatore sempre la stessa cifra. Il contributo di solidarietà, per quanto abbia natura temporanea, è una tassa come tutte le altre: quindi in questi casi non può incidere sulla cifra al netto, concordata dalle due parti al momento della firma del contratto. Non è che i calciatori stiano chiedendo delle deroghe, quindi. Non è che non pagheranno il contributo di solidarietà: stiamo discutendo del fatto che lo debba pagare Ibrahimovic o Galliani. E non è che Galliani all’improvviso si è preso a cuore le sorti del Paese e dei ceti meno abbienti. È che nel rispetto del contratto di lavoro di Ibrahimovic – firmato con gran gioia anche dallo stesso Galliani – il contributo di solidarietà in questi casi deve essere pagato dalla società, come le altre tasse: e d’altra parte al momento della firma del contratto entrambe le parti sapevano che un futuro aumento delle tasse avrebbe favorito il calciatore mentre una loro futura diminuzione avrebbe favorito la società. L’idea di ignorare quanto scritto in un contratto tra un’azienda e un lavoratore, addirittura con la comica ed evidentemente irrealizzabile minaccia di un raddoppio dell’aliquota, è giusto una cosa che può dire Roberto Calderoli il 17 agosto. Poi fate voi.