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Quelli che alle elezioni perdono sempre

Sui risultati elettorali c’è poco da dire, tanto sono chiari. E quindi approfitto di questo day after per dire qualcosa dei sondaggi, anzi: dei sondaggisti italiani. Quanto accaduto ieri mi convince ancora di più di una cosa che penso da tempo: in Italia, probabilmente nel timore di sbagliare o per rassicurare i committenti, quando una rilevazione ottiene risultati sorprendenti si decide di normalizzarla, piallandola secondo l’aria che tira.

È successo molte volte. Alle regionali del 2005 con le impreviste vittorie di Vendola e Marrazzo. Alle politiche del 2006, quando i sondaggi – e persino gli exit poll – dicevano che l’Unione era in vantaggio di cinque punti ed è andata a finire pari. Alle regionali del 2009 in Sardegna, quando i sondaggi parlavano di testa a testa fra Soru e Cappellacci e invece Cappellacci spazzò via il suo avversario. Alle regionali del 2010, quando gli istituti decisero addirittura di non diffondere gli exit poll perché l’affluenza molto bassa aveva reso inaffidabili i loro modelli statistici. A queste amministrative ne abbiamo viste delle altre.

Soltanto alla fine di aprile Piepoli diceva che la vittoria di Letizia Moratti non era in discussione e che Pisapia non aveva possibilità. Tutti i sondaggi, anche quelli interni condotti fino al giorno precedente al voto, dicevano che Moratti sarebbe arrivata a un paio di punti dalla vittoria al primo turno (alcuni la davano addirittura vincente), mentre Pisapia si sarebbe fermato intorno al 42%. Gli intention poll, tutti sbagliati: a Milano davano Moratti al 47,5% e Pisapia 43%, a Napoli davano Lettieri al 41%, Morcone al 25%, De Magistris al 21%. Lo stesso con le proiezioni: secondo Piepoli alle 16 Moratti e Pisapia stavano 44 pari. La Palma d’oro va all’agenzia Tecné, che alle 16 aveva diffuso queste “stime elettorali”: Letizia Moratti tra il 44-50%, Giuliano Pisapia tra il 40-46%. Forbice di 6 punti, margine di errore di 3 punti, e lo stesso non ci sono andati vicini.

I ballottaggi – con l’eccezione di Termometro Politico – sono stati un altro capolavoro. I sondaggi, come sempre, si limitavano a certificare il risultato che tutti a naso consideravano più probabile: Pisapia in leggero vantaggio a Milano, testa a testa a Napoli. Alle 15 gli intention poll di Digis si limitavano a dare Pisapia e De Magistris vincenti, senza fornire nemmeno un numero. Poco dopo è arrivata la prima proiezione EGM su Milano, annunciata come attendibile dalla frase “i risultati finali non si discosteranno molto da questi”: Pisapia 50,8% Moratti 49,2%. Su Napoli, gli stessi sondaggisti che fino al giorno prima davano De Magistris al 51% iniziavano ad adeguare i loro dati a quelli reali: la prima proiezione diceva 54,5%, poi 57,7%, poi 60,2%, poi il 61%, eccetera. È finita che De Magistris ha vinto con il 65,3%, mentre Pisapia ha vinto con il 55,1%.

Non ha senso giustificare questi disastri con l’elettorato mobile e lo scenario politico mutevole e l’affluenza che cambia. Le presidenziali statunitensi del 2008 hanno visto un enorme cambiamento nella demografia dell’elettorato e l’affluenza più alta degli ultimi quarant’anni, eppure i sondaggi hanno funzionato bene praticamente in tutti gli stati. Alle scorse elezioni britanniche, nonostante l’imprevista esplosione dei libdem e l’alta affluenza avessero scombinato ogni modello, gli exit poll hanno fornito praticamente l’esatta composizione della Camera dei comuni. Gli exit poll, non le proiezioni. I sondaggi servono e funzionano, se si fanno bene.

Certo, ogni tanto i sondaggisti italiani le azzeccano: così come ogni tanto io azzecco qualche pronostico o vinco qualche euro scommettendo sulla Champions League. Ma il talento dei sondaggisti dovrebbe essere saper prevedere risultati e fenomeni imprevedibili, non fotografare le opinioni degli addetti ai lavori: a fare i pronostici da bar a naso, sulla base dell’aria che tira, siamo bravi tutti, chi più chi meno. Se la ragione di questi fallimenti è la prudente correzione dei risultati sorprendenti, quanto accaduto in questi anni dovrebbe suggerire un cambio di strategia. Se invece si tratta di rassicurare o compiacere il loro committente, evidentemente il problema è proprio il committente che nonostante tutto continua a ritenere affidabili certi istituti. Se invece semplicemente non li sanno fare, i sondaggi, si può sempre cercare di aggiornarsi e imparare. Magari prima del 2013.