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Elogio del meno peggio

Quando si parla di politica, magari con un’elezione alle porte, c’è una frase che salterà fuori quasi sempre, nelle sue cento varianti: “ci siamo stufati di votare sempre il meno peggio”. Questa frase parla di un sentimento di insofferenza più che comprensibile, se si tiene conto delle condizioni del panorama politico italiano. Spesso, negli ultimi anni, a questa frase è seguito un comportamento elettorale di questo tipo: non voto, o esprimo un voto di pancia, di protesta. Nel tempo, i passeggeri successi elettorali di Lega Nord, Italia dei Valori e Movimento 5 Stelle sono da ricondurre principalmente – non esclusivamente, certo – a questo genere di fenomeno.

Ora, pur capendo perfettamente quel tipo di frustrazione e le sue ragioni, mi permetterei qui di suggerire un modo per votare bene e vivere meglio. Il voto non è un fine, è un mezzo. Non serve a chi lo esprime, serve a tutti. Il voto serve a ottenere un risultato e quel risultato, in prima istanza, non è l’espressione della propria coscienza e dei propri valori e della propria essenza più profonda – sentimento che fa dire spesso la frase: “non c’è nessuno che mi rappresenti”. Il voto è un mezzo che serve a determinare un cambiamento dello status quo.

Il voto non è l’unico strumento a nostra disposizione per cambiare lo status quo. Ne esistono molti altri che ci lasciano le mani ben più libere: possiamo iscriverci a un numero di associazioni e comitati infinitamente più lungo della lista di simboli tra cui siamo chiamati a scegliere alle elezioni. Così come possiamo parlare con i nostri amici, parenti e colleghi delle cose che ci stanno a cuore, convincendoli della bontà delle nostre idee. Possiamo decidere come e dove spendere i nostri soldi, possiamo fare volontariato, possiamo iscriverci a un partito, possiamo militarvi e possiamo persino candidarci. Possiamo scrivere lettere ai giornali o su Internet, fondare comitati di condominio, di quartiere, di città. Possiamo fare delle donazioni, possiamo iscriverci a mille milioni di gruppi sui social network. Possiamo semplicemente informarci, possiamo far circolare documenti e notizie interessanti. L’elenco è sterminato, probabilmente infinito: sono le cose che possiamo fare per incidere sullo status quo. Una di queste – non l’unica, come abbiamo visto – è il voto.

Quando ci sono le elezioni, succede questa cosa. Dato un numero finito – finito! – di proposte, di partiti e di candidati, che esistono anche grazie agli strumenti di cui sopra, ogni cittadino è chiamato a esprimere una preferenza. Votare questo o quel partito, questo o quel candidato. Non è detto che in quell’elenco ci sia il vostro candidato o partito ideale, anche perché non esiste. Fidatevi: non esiste. E nonostante questo, è certo che uno tra quei partiti che vi trovate davanti avrà più potere degli altri: è certo che uno solo tra quei candidati che avete davanti sarà eletto sindaco o premier o presidente. Uno solo tra quelli. Le elezioni, quindi, non hanno a che fare con la scelta della miglior proposta possibile, bensì con la scelta della miglior proposta tra quelle disponibili sulla scheda elettorale. Esiste la possibilità che ci si trovi più o meno occasionalmente a votare non la proposta che ci piace di più ma quella che ci disgusta meno. La meno peggio. È sicuramente spiacevole ma non c’è da lagnarsi di chissà qualche coscienza macchiata. Se avete votato il meno peggio, è perché l’alternativa era ancora peggiore: e non c’è niente di cui vergognarsi nel fare la cosa giusta. Anzi: le cose giuste vanno fatte, punto. Le mollette usatele per il bucato.

Esiste una nobile scuola di pensiero, abbracciata anche da molte persone lucide, intelligenti e impegnate, che davanti a un panorama politico arido e desolante preferisce l’astensione al voto di protesta o al voto al meno peggio. Io credo che l’astensione rappresenti (eventualmente) una soluzione a un solo problema, quello della propria coscienza. Un problema di dimensioni molto ridotte, diciamo pure microscopiche, se paragonate a quanto mette in gioco l’elezione del consiglio di quartiere: figuriamoci le altre. Non sono d’accordo nemmeno con la cosiddetta “astensione punitiva”, quella di chi non vota il meno peggio così la prossima volta impara a essere un po’ meglio. A parte che non funziona, tra questa e la prossima volta passeranno degli anni: centinaia, migliaia, milioni di persone possono vedere la loro vita migliorare o peggiorare. E tu ti metti lì a fare l’astensione educativa per punire il tuo partito? Le buone intenzioni sono ammirevoli, ma per cambiare i partiti ci sono gli anni che passano tra un’elezione e l’altra: sono molti e si possono utilizzare per fare un sacco di cose. Alle elezioni si decidono i destini delle persone. Alle elezioni si vota. Ci si informa e si vota per quella che si ritiene in buona fede essere la soluzione migliore tra quelle disponibili. Sapendo di poter sbagliare, ovviamente, sapendo che la prossima volta si potrà cambiare idea. E no, non ci sono scorciatoie: c’è sempre qualcuno anche solo un briciolo meglio degli altri. Chi pensa che un candidato sia anche solo un briciolo meglio dell’altro ma si astiene per non sporcarsi le mani, di fatto avvantaggia il candidato peggiore.

Queste cose le penso da molto tempo ma le scrivo adesso perché nelle ultime settimane mi sono chiesto cosa farei se votassi al ballottaggio di Napoli. Da una parte c’è Gianni Lettieri, candidato espressione di una parte politica marcia e compromessa, guidata da un uomo politico dai rapporti poco chiari con la camorra (la camorra, non D’Alema o Grillo: la camorra). Dall’altra parte c’è Luigi De Magistris, un pessimo pubblico ministero che si è trasformato in un uomo politico detestabile: populista fino alla nausea, forcaiolo, del tutto incompetente, sfacciatamente incoerente, senza un’idea che non sia uno slogan. Non voterei volentieri nessuno dei due, ma comunque vada uno dei due sarà sindaco di Napoli: io potrei pure astenermi, ma cosa risolverei? L’uso della coscienza è più importante della sua presunta pulizia. Io a Napoli voterei De Magistris. Potete non pensarla come me su De Magistris, ma chi legge questo blog e sa come la penso può immaginare quanto mi costi una cosa del genere. Invece no, non mi costa niente. Le cose giuste si fanno.

(Finisco di scrivere questo post, che parla solo incidentalmente di De Magistris, e mi rendo conto che pubblicandolo vìolo il silenzio elettorale. Quindi aggiungo che il silenzio elettorale è una stronzata: gli elettori non vanno trattati da idioti e se qualcuno di loro sarà stato convinto a votare o a non votare da questo post, lo avrà fatto in piena libertà e coscienza. Augurandomi che a nessuno venga in mente di denunciarmi e appellandomi alla clemenza dell’agente di turno, aggiungo che piuttosto che il silenzio elettorale, sarebbe meglio introdurre quello amministrativo)