Da un grande potere derivano grandi responsabilità
Oggi Julian Assange ha risposto ad alcune domande che gli erano state rivolte dai lettori del Guardian: lo scambio è stato molto interessante e sul Post lo abbiamo tradotto per intero. È utile a chi vuole sapere qualcosa in più su Wikileaks e sul suo fondatore, nonostante l’abilità di quest’ultimo di evitare di rispondere alle domande più impegnative delle altre. Una di queste è quella che ad Assange avrei rivolto io.
Sono convinto che la missione originaria di Wikileaks – pubblicare documenti riservati allo scopo di far venire alla luce abusi, ingiustizie e corruzioni – sia encomiabile: un servizio alla società e al miglioramento del mondo. Non sono convinto del fatto che il Cablegate abbia centrato alla perfezione l’obiettivo: sebbene alcune storie meritassero certamente di essere diffuse – vedi lo spionaggio statunitense sull’ONU, i rapporti tra Berlusconi e Putin, la corruzione del governo afghano, altre che probabilmente verranno – mi sfugge la logica della pubblicazione di tonnellate di rapporti diplomatici che non mostrano niente di illegale, di sbagliato o di riprovevole, bensì legittime opinioni, giudizi e preoccupazioni. Cose che una volta pubbliche non si può fare a meno di diffondere, perché è una notizia che gli stati arabi vorrebbero bombardare l’Iran più di quanto vogliano i neocon americani o che Letta considera Berlusconi un vecchietto paranoico, ma della cui rivelazione non capisco il senso, rispetto alla missione originaria di Wikileaks.
Questo a meno di non considerare sbagliata non la segretezza nei confronti degli abusi bensì la segretezza in quanto tale, nelle comunicazioni diplomatiche e i rapporti tra governi. Il secondo caso mi parrebbe un errore e credo dovrebbe sembrare un errore ancora di più a chi nello scorso decennio, opponendosi agli interventi militari in Afghanistan e in Iraq, ha fatto grandi apologie della diplomazia e ha sostenuto che i conflitti, le tensioni e anche le situazioni umanitarie più disperate vadano risolte sempre e comunque con la diplomazia. Perché – ripeto: al netto delle ingiustizie e degli abusi, che vanno smascherati e resi pubblici sempre – la diplomazia senza segretezza e discrezione semplicemente non esiste.
Questa è la domanda che oggi pomeriggio è stata posta a Julian Assange. Segue anche la sua risposta, evasiva in un modo che lui certamente non avrebbe perdonato a un altro personaggio pubblico di tale rilievo e responsabilità.
Domanda: Sono un ex diplomatico britannico. Nella mia carriera ho contribuito a coordinare azioni multilaterali contro un regime brutale nei Balcani, imporre sanzioni a uno stato che minacciava pulizie etniche, negoziare un programma di recupero del debito di una nazione molto povera. Nessuna di queste cose sarebbe stata possibile senza la segretezza e la sicurezza della corrispondenza tra diplomatici, e la protezione di quella corrispondenza dalla pubblicazione garantita dalle leggi della Gran Bretagna e di altri stati liberali e democratici. Un’ambasciata che non può dare consigli o trasmettere messaggi in sicurezza è un’ambasciata che non può lavorare. La diplomazia non può lavorare senza discrezione e senza la protezione delle proprie fonti. Questo riguarda tanto la Gran Bretagna quanto le Nazioni Unite quanto gli Stati Uniti. Pubblicando tutti questi documenti, Wikileaks non sta puntando il dito contro nessuna specifica azione illegale, ma sta minando l’intero processo diplomatico. Se è legittimo pubblicare i documenti degli Stati Uniti, allora è possibile pubblicare i telegrammi della Gran Bretagna e le mail delle Nazioni Unite. La domanda è: perché non dovremmo ritenerti personalmente responsabile quando la prossima crisi internazionale non sarà risolta a causa del malfunzionamento dei diplomatici?
Risposta: Se riduci il tuo lungo editoriale a quell’unica domanda che mi hai fatto, sarò lieto di darti la mia attenzione.