La solfa della ribellione che manca
Qui si sta discutendo invece di quell’artificio retorico secondo cui in fondo in fondo la responsabilità della situazione di giogo ed oppressione, economica e sociale, a cui sono sottoposte le generazioni giovani in Italia è degli stessi giovani e della loro incapacità di ribellarsi. Tralasciamo la questione della sindrome di Stoccolma, o dell’inversione dell’onere della prova. Quando mai la responsabilità, la colpa, di soprusi, umiliazioni o, più semplicemente, ingiustizie, è di chi le subisce? Quale colpevole spregio della logica e della realtà è necessario compiere per affermare queste cose? Oppure quale transfer psicologico e profonda sudditanza nei confronti della generazione precedente, quella che invece sì, si sarebbe ribellata. Ma quando si è ribellata? A chi si è ribellata, ottenendo cosa? Questo non viene mai discusso, confondendo la lotta di classe – che è esistita e tramontata per ragioni che non hanno nulla a che vedere con le generazioni – con le diversi classi di età. E non si riflette neanche sul fatto che se esistono le ingiustizie e le oppressioni, la ragione tecnica – stiamo quindi entrando nel campo delle tautologie – è che c’è qualcuno che opprime, c’è qualcuno che perpetra l’ingiustizia. Per opprimere bisogna avere potere, essere più forti, avere capacità di ricatto: senza quella forza nessuno può opprimere. Molto spesso, innanzitutto, se non ci si ribella è perché non ci si può ribellare, perché non si è nelle condizioni di fare altro.