Sull’affluenza
Dando per scontata una cosa poi non del tutto scontata, cioè che il calo dell’affluenza tenda a favorire i candidati di centrosinistra (tesi motivata da una storica differenza di motivazione e partecipazione in simili turni elettorali), il dato attuale dovrebbe spaventare il centrodestra per una ragione ben precisa, che non sono in sé i nove punti in meno, bensì il fatto che siano nove punti in meno rispetto a un turno di regionali – quello del 2005 – che il centrosinistra stravinse 12 a 2. Quel bacino elettorale era già un bacino anomalo e sbilanciato, in un’elezione che arrivava in un momento di grande difficoltà del governo e altrettanto grande disinteresse del suo elettorato, anche nelle regioni in cui alla fine riuscì a spuntarla (Formigoni vinse col 53,5, Galan col 50,5).
C’è una ragione di preoccupazione anche per il centrosinistra, però. Le regionali del 2005 arrivarono dopo quattro anni di governo berlusconiano e soltanto a un anno dalle attese elezioni politiche: l’elettorato di centrosinistra era in un momento di entusiasmo e motivazione probabilmente mai più eguagliato. Anche a sinistra oggi la situazione è del tutto differente, e non è da escludere il fatto che i voti in meno siano del tutto bipartisan: una tesi che tra l’altro sarebbe avvalorata dall’insolita uniformità del calo dell’affluenza tra regioni rosse e regioni blu, tra grandi città e piccoli centri. Quanto più di questo fenomeno è stato percepito, compreso e calcolato nei sondaggi, quanto meno i risultati finali si discosteranno dalle corse clandestine. Se invece, com’è tutto meno che improbabile, i sondaggisti italiani si confermano scolastici e imprecisi, allora potrebbero esserci grosse sorprese (da una parte e dall’altra eh, non vi agitate).