Per amor proprio e dei lettori
Eugenio Scalfari lo ha fatto di nuovo, e non è un bello spettacolo. Forse qualcuno a Repubblica dovrebbe decidersi a dirgli qualcosa, con grande rispetto ma altrettanta fermezza.
Intercettazioni e proposte mai fatte
LUCA RICOLFICaro Direttore, circa una settimana fa ho scritto su La Stampa un pezzo sulle intercettazioni, nel quale facevo due proposte:
a) Razionare il numero delle intercettazioni, affidando al Consiglio Superiore della Magistratura o ad altro organismo la loro allocazione (attualmente del tutto squilibrata) fra i 29 distretti giudiziari; a titolo di esempio suggerivo che potrebbero essere portate gradualmente a 100 mila (dalle 140 mila del 2008, contro le 32 mila del 2001);
b) Consentire ai giornali di pubblicarle, ma solo se depurate dei riferimenti a soggetti che non c’entrano, e soprattutto solo a partire da un certo stadio dell’azione penale (ad esempio: dall’inizio del dibattimento).Pochi giorni dopo, leggendo l’editoriale della domenica di Scalfari, vedo che mi critica severamente (fin qui tutto ok) ma attribuendomi due proposte che non ho mai fatto:
a)«Creare un apposito organo di regolamentazione autonomo rispetto alla magistratura e cogente verso i giornali»;
b)«Consentire ai giornali l’accesso alle fonti in fase istruttoria e riferirne “a rotazione periodica” tra le varie testate».Lì per lì ho pensato che qualche giornalista o commentatore avesse effettivamente fatto queste due proposte, e che Scalfari, per errore o distrazione, le avesse attribuite a me. Ho pensato questo perché sono abituato ad assumere che il mio interlocutore:
1) padroneggi la lingua italiana;
2) non sia in mala fede.Poi ho controllato su Internet, e non v’è traccia delle due proposte che Scalfari attribuisce a me. Nessuno pare averle fatte. Quindi Scalfari parlava proprio di me. Che cosa devo pensare?
Giustamente Scalfari considera «barocca» la prima proposta, «ridicola» la seconda: il punto però è che io non le ho mai fatte. E nota: non si può dire che Scalfari forzi o deformi il mio pensiero. Lui inventa di sana pianta, addirittura riportando fra virgolette un’espressione che non ho mai usato: «A rotazione periodica».
La sua conclusione è che il potere ha corrotto il mio cervello. Sono senza parole. E’ questa la professione giornalistica? Perché i lettori di Repubblica, che spesso leggono solo Repubblica, devono pensare che io sia così sprovveduto?
(hat tip: Camillo)