Facili scorciatoie
«Ma non le hanno fatte pure l’anno scorso?», chiede Danilo, 17 anni, mentre aspetta il treno per ritornare a casa dopo una mattina passata in classe. No, era due anni fa. «Ah, ho capito. Ma non vado, non mi interessano queste cose». «Queste cose» sarebbero le primarie del Partito Democratico, alle quali possono partecipare – candidarsi, essere eletti, votare – tutti i ragazzi che hanno compiuto i sedici anni di età: una scelta di apertura verso una fascia di popolazione particolarmente importante e della quale si lamenta spesso la distanza e il disinteresse nei confronti della politica in generale e del Partito Democratico in particolare. Distanza e disinteresse che in effetti si vedono tutti. Lucia, 16 anni, non sapeva che ci fossero le primarie, e comunque non andrà a votare. La stessa cosa Yanni, 17 anni, cinese ma in Italia da quando era bambina – alle primarie possono votare anche i cittadini extracomunitari con permesso di soggiorno – e Luca, 16 anni, «però i miei genitori ci vanno di sicuro». C’è Elena, 18 anni, che sa delle primarie ma è di destra, del Blocco studentesco; il suo coetaneo Marco, invece, pensa che il Pd sia troppo moderato e quindi non voterà alle primarie. «Non mi ci riconosco», dice. E poi tanti altri che non sanno, non ricordano, «la politica non mi interessa», «non conosco i candidati», «ma a che serve?».
Già, a che serve? Perché un sedicenne, un diciassettenne, dovrebbe sentirsi in qualche modo coinvolto dalle primarie del Partito Democratico e dalla dialettica tra i tre candidati? Perché questo dovrebbe accadere in una qualsiasi delle tante scuole italiane dove spesso la politica conosce solo due facce, quella dell’estrema destra e quella dell’estrema sinistra? «Bisogna ricominciare a lavorare sul serio nelle scuole», dice Mario Castagna, membro dell’esecutivo nazionale dei Giovani democratici. «Negli ultimi anni le organizzazioni di destra si sono conquistate un predominio totale nelle scuole medie superiori, un risultato frutto di un grande lavoro sul territorio, di un’organizzazione capillare e di un investimento economico e politico da parte dei partiti». Insomma, la buona volontà va sempre bene, il voto ai sedicenni è una bella idea, ma pensare che possa essere sufficiente per colmare le conseguenze di anni di miopie ed errori è velleitario e pericoloso. «Stiamo organizzando delle iniziative rivolte agli elettori più giovani», dice Castagna, «soprattutto nelle grandi città sono gli stessi candidati a cercare di rivolgersi agli studenti delle scuole superiori». Ma? «Ma l’altra volta c’erano anche più ragazzi tra i candidati. Stavolta, con meno collegi, meno liste e meno seggi, i posti per i sedicenni e i diciassettenni praticamente non ci sono più». Non che la politica dei candidati bandiera e dei personaggi simbolici abbia funzionato, anzi. «Non si avvicinano gli studenti candidando due o tre di loro quando si fanno le primarie. Bisogna ricominciare da zero e lavorare con costanza, c’è molto terreno da recuperare. L’anno scorso, mentre gli studenti di tutta l’Italia scendevano in piazza, mentre l’Onda invadeva le città, i Giovani democratici erano impegnati nella loro campagna interna per eleggere il loro segretario. Stavolta speriamo di farci trovare pronti». La sfida vera, per i Giovani democratici e per i democratici giovani, ha poco a che fare col 25 ottobre. Inizia prima, ma soprattutto finisce dopo.
(per l’Unità di oggi, pagina 8)