Questo sito contribuisce alla audience di IlPost

Ricominciare dai fondamentali

Tutto si può dire, meno che la campagna congressuale del Pd sia stata fino a questo momento particolarmente appassionante o scoppiettante. Nonostante questo, però, e nonostante i guai nel frattempo non siano mancati – dal voto sullo scudo fiscale alle polemiche attorno alle dichiarazioni di Rutelli e Penati – finora questa campagna ha avuto una non indifferente funzione salvifica. Ha limitato i danni. Da quanto tempo non sentiamo D’Alema fare dichiarazioni a tutto campo cinque volte al giorno, dispensando consigli su questo e quello? Da quanto tempo non arriva una sparata dei teodem? Da quanto tempo non nasce una nuova fondazione? Potremmo dire, osando un po’, che forse la campagna congressuale fa bene alla classe dirigente del Pd. Forse trovarsi a poche settimane dal giudizio degli elettori fa sì che qualcuno si sforzi un po’ di più di tenere – almeno pubblicamente – comportamenti maggiormente adeguati ai ruoli che ricopre e agli obiettivi che si pone. Se c’è, quindi, una ragione per essere sollevati, di certo non è il caso di essere soddisfatti, per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, la campagna congressuale ha fatto semplicemente da argine nei confronti dei colpi bassi e delle scorrettezze più sfacciate: lontano dai riflettori, il copione non è cambiato affatto. In secondo luogo, poi, si tratta evidentemente di un fenomeno passeggero. Nessuno dei tanti giganteschi problemi del Pd appare oggi sulla via della risoluzione, e la disgraziata gestione del voto sullo scudo fiscale (il prima, ma soprattutto il durante e il dopo) ci ricorda con quanta superficialità e pressapochismo il Pd abbia cercato di impostare la sua azione negli ultimi mesi. Inoltre, con le elezioni regionali alle porte, esiste il rischio concreto che dal giorno dopo il congresso ricominci inesorabile la campagna di delegittimazione e logoramento della minoranza nei confronti della maggioranza, secondo lo stesso schema che decretò l’azzoppamento di Veltroni immediatamente dopo le politiche. Se si vuole rimettere in sesto questo partito e far sì che recuperi la fiducia dei propri elettori, prima ancora di tentare di conquistare quella degli altri, la condizione necessaria (per quanto assolutamente non sufficiente) è interrompere questo circolo vizioso. Manifestare il dissenso, quando c’è, ma senza agguati violenti e sgangherate prese di posizione. Chiarire i punti di discordia all’interno degli organi preposti e non con le solite frasi sibilline rilasciate alle agenzie. Lavorare sulla gestione del consenso interno con trasparenza e senza lanciare una nuova fondazione ogni due per tre. Il minimo sindacale del comportarsi bene, insomma. Poi, a quel punto, si potrà ricominciare a fare politica. Sarebbe già un magnifico risultato, con l’aria che tira.

(per Giornalettismo)