Del saper cosa ci aspetta
Niente. Ci hanno provato a trattenersi, ma alla fine non ce l’hanno fatta. Non hanno resistito. Dopo un anno passato ad avvelenare i pozzi, a fare il controcanto a Veltroni, a rispondere in modo ambiguo e sibillino a ogni sua dichiarazione, a minare continuamente il suo già traballante operato con mezzi più o meno ortodossi, dai pizzini in su, verrebbe da pensare che i dalemiani possano oggi finalmente godersi la loro vittoria. Smetterla coi mezzucci e passare all’incasso, a testa alta, magari facendo pure bella mostra di sé e gestendo la vittoria con correttezza e fair play. Non ce l’hanno fatta. Il richiamo delle vecchie abitudini è stato più forte e alla fine ha avuto la meglio. A congresso vinto, in rampa di lancio verso la conquista della segreteria del partito, Filippo Penati, coordinatore nazionale della mozione Bersani, ha deciso di fare il bullo. “Franceschini di fatto non è più il segretario perché non ha ottenuto il consenso da parte di due terzi del partito che sta gestendo”. Bùm.
Oltre a essere una scemenza nei termini, perché chi è o non è “di fatto” il segretario sarà deciso dalle primarie del 25 ottobre, e fino a quel giorno il segretario “di fatto” si chiama Dario Franceschini, le parole di Penati lasciano immaginare quale sarà l’andazzo del Pd a gestione bersaniana. La conquista della segreteria non cambierà il loro modo di, ehm, fare politica: cannonate sugli avversari, dichiarazioni ambigue, minacce seguite da rapide smentite. Anche quando sono assolutamente superflue, come in questo caso. Uno dice, e spera: magari è semplicemente sbroccato Penati. Interpellati sull’argomento, però, Bersani e D’Alema hanno fatto i finti tonti, dichiarando che “il ruolo di Franceschini non è in discussione” ma evitando di censurare le parole dell’ex presidente della provincia di Milano. Che è un po’ come quando l’anno scorso D’Alema diceva che secondo lui Veltroni non doveva dimettersi. E certo: chi prendeva a pugni, poi?
Il bullismo di Penati risponde anche a un’altra esigenza, che è quella di galvanizzare l’ala più nostalgica e veterorosicona del proprio schieramento scagliandosi contro le primarie per la scelta del segretario. Benché Bersani non lo dica, se non con sfinenti giri di parole, per tutti i suoi sostenitori non è un segreto: occorre abolire le primarie per eleggere il segretario. Un lunghissimo salto all’indietro nel tempo con l’effetto esilarante e controproducente di apprestarsi a una campagna elettorale durante la quale il povero Bersani dovrà chiedere agli elettori delle primarie (quindi quelli a cui le primarie interessano, quelli che ci tengono) di votare per lui, così che lui possa non farli votare mai più, dato che li considera nel migliore dei casi degli estranei, nel peggiore dei casi degli inetti che sfuggono alla pratica iniziatica della vita di sezione e che magari vogliono inquinare i risultati delle urne.
Intanto, giusto per non farsi mancare niente, gli stessi bersaniani che non mancano occasione per lanciare i propri strali contro la lottizzazione e la politica che mette le mani nella Rai, gli stessi che andranno alla manifestazione per la libertà di stampa, hanno piazzato Bianca Berlinguer alla direzione del Tg3, come da accordi di spartizione fatti a tavolino col centrodestra. Evidentemente la lottizzazione fa schifo solo quando la fanno gli altri. Subito dopo le primarie, poi, partiranno le grandi manovre di corteggiamento nei confronti dell’Udc, in vista delle regionali e non solo. Casini non vuole rinunciare ad avere le mani libere, quindi un accordo nazionale è altamente improbabile: quello che succederà, realisticamente, è che l’Udc sceglierà regione per regione tra centrodestra e centrosinistra sulla base di chi ha le maggiori possibilità di vittoria. E quando vorrà accettare l’alleanza “innaturale” col Pd, lo farà in cambio importanti contropartite, come la poltrona di candidato a governatore o le teste di personaggi come Vendola o Marrazzo. D’altra parte, quando al tavolo delle trattative sono seduti un partito disperato e rachitico che ha solo da perdere, cioè il Pd, e uno che si diverte a fare l’ago della bilancia e può permettersi di giocare a chi offre di più, cioè l’Udc, il copione è in buona parte già scritto. Spiegatelo a Bersani.