La toppa e il buco
Sono in debito da giorni di una risposta a Lorenzo Cairoli, che qualche giorno fa ha chiesto espressamente a me e ad altri di prendere posizione sulla questione degli sgomberi dei locali occupati dai comitati per la casa di Roma.
L’emergenza abitativa a Roma è una realtà drammatica di cui si è testimoni diretti praticamente tutte le volte che si esce di casa dopo le 21. Chi ha sempre vissuto nella capitale magari non se ne rende conto, ma chi viene da qualsiasi altra città d’Italia se ne accorge subito: è impossibile non notare le persone – tante, ma tante – che passano la notte accampate alla bell’e meglio un po’ dappertutto: sotto le tettoie dei palazzi, nelle gallerie, sui marciapiedi, i più fortunati nelle macchine. E questo è quando le cose vanno bene, cioè in estate. In inverno, com’è facile immaginare, le cose vanno molto peggio. Per non parlare dell’emergenza abitativa di chi un tetto sulla testa magari ce l’ha, l’ha pagato a caro prezzo e lo condivide con 35 persone e centinaia di scarafaggi.
Davanti a una piaga di queste proporzioni, da anni centri sociali e associazioni come Action organizzano occupazioni di locali pubblici in stato di abbandono e case sfitte, per far fronte all’emergenza. Ora, ci sono decine di ragioni per cui i centri sociali non sono esattamente my cup of tea. Non conosco Andrea Alzetta, per dire, ma penso che potremmo parlare per ore trovandoci d’accordo solo su pochissime cose, e probabilmente saremmo d’accordo per motivi diversi. Le occupazioni sono uno di questi casi. Le occupazioni a Roma vengono fatte anche dove magari sarebbe meglio non farle, e non sono tutte uguali: ci sono posti in cui funzionano meglio e altri in cui funzionano peggio. A volte vengono fatte in modo rozzo e noncurante delle ingiustizie (più o meno grandi) che generano e badando solo a quelle che sanano. Vengono fatte un po’ per chi la casa non ce l’ha, un po’ contro i palazzinari, come se le due cose fossero direttamente collegate. Soprattutto, mi sembra, vengono fatte nella convinzione legittima che la casa sia un diritto, ma attraverso l’utilizzo della prepotente strategia del fatto compiuto per affermare le proprie legittime convinzioni.
Il punto finale, però, è che non importa. Come ho scritto più volte, una cosa è il giudizio delle azioni e delle loro conseguenze, un’altra il giudizio delle intenzioni. Vale per i neocon, vale per Action (eresia!). Finché in questa città ci saranno centinaia di persone senza un letto, un tetto, un bagno, ben vengano le occupazioni, con tutti i loro innumerevoli difetti. Ne avessero qualcuno in meno, secondo me, per moltissime persone sarebbe più facile stare dalla loro parte. In ogni caso, la toppa è molto meglio del buco.