La mozione degli affetti
Sono piuttosto contento di aver fatto, questa mattina, la tessera del Partito Democratico. Sono contento perché non credo ci sia momento migliore di questo per iscriversi al Partito Democratico e perché malsopporto chi si vanta di “non aver mai avuto una tessera di partito”. Qualcuno ha ironizzato sul fatto che i piombini e i sostenitori di Ignazio Marino, che certo non hanno le idee d’antan di Bersani e D’Alema riguardo l’organizzazione del Pd, stiano correndo a far tessere, in vista del congresso. Si tratta del più banale e logoro dei trucchetti dialettici: attribuire una posizione caricaturale al proprio interlocutore così da poterla facilmente ridicolizzare.
Non ho, non abbiamo, nulla contro le tessere. Abbiamo semmai qualcosa contro l’idea che la struttura e l’organizzazione di un partito politico dell’anno 2009 debbano essere le stesse di quelle del Pds. E ci fa sorridere che nell’assenza completa di una discussione vera sul modello organizzativo del partito, le tessere siano diventate un totem semplicemente in quanto simbolo del passato, del “si stava meglio”. Spesso senza nemmeno preoccuparsi di fornire ragioni che accompagnassero la nostalgia e l’abitudine: non siamo manco più alla conservazione dell’esistente, siamo al culto della tradizione. Che poi, per carità, va benissimo trastullarsi con identità, tradizione e feticci. Basta non raccontarsi di stare facendo una cosa di sinistra.