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La corsa più pazza del mondo

«Partiti», avrebbe detto Bruno Pizzul, come al fischio d’inizio di una finale. I due maggiori pretendenti alla segreteria hanno lanciato le loro candidature, non senza qualche bizzarria, e nel giro di qualche giorno il quadro sarà completo. Venerdì 26, poi, la direzione nazionale approverà il regolamento congressuale e la campagna prenderà ufficialmente il via.

Il primo a rompere il ghiaccio è stato Pierluigi Bersani. In realtà il ghiaccio era rotto da tempo, almeno da quando nel 2007 aveva tutto pronto ma venne stoppato perché «la nostra gente non capirebbe». Per evitare di fare lo stesso errore, stavolta Bersani ha annunciato la sua candidatura al primo segno di benestare del suo noto king maker, cioè a febbraio: quattro mesi prima dell’inizio della campagna congressuale. Quattro mesi di limbo per poi aprire i giochi solo tre giorni fa. Come? Con un messaggio postato, pensate un po’, sul suo blog e su Facebook – roba che Walter, spòstati. Il testo è a tratti sibillino, specie sul punto del ricambio generazionale: «Quel che penso intendo rivolgerlo in primo luogo alla nuova generazione che è già in campo. Non credo che dobbiamo inventarci una nuova generazione, né evocarla per simboli. Credo che ci sia già, nel lavoro, nelle professioni, nelle amministrazioni, nel partito». Insomma, come aveva già detto in passato, «sperimentare giovani già sperimentati». Per uno la cui idea di “giovane” è Enrico Letta, poteva persino andare peggio.

Ieri invece è stato il turno di Dario Franceschini, che è riuscito nella complicatissima impresa di lanciare la sua candidatura in un modo più autolesionista ed equivoco del suo avversario: non era facile. Dopo mesi e mesi a ripetere in tutte le salse che non aveva alcuna intenzione di ricandidarsi, ha ricevuto prima l’intempestivo endorsement dell’ex-segretario – aveva appena finito di ripetere per la quattrocentesima volta «non sarò candidato al congresso» che arriva Veltroni e dice «ti sosterrò al congresso» – per poi sbugiardarsi lanciando la sua scontatissima candidatura e arrivare a sostenere che si candida «per portare il Pd nel futuro, non per tornare indietro». Dove per indietro, ovviamente, non si intende la disastrosa esperienza della segreteria di quel Walter Veltroni di cui era vice, bensì i tempi dei Ds e della Margherita, a cui la premiata ditta Bersani-Letta non fa mistero di guardare.

L’unico altro candidato già in pista è Mario Adinolfi, che oggi a Roma alle 18,30 presenta la sua mozione. Rimangono in piedi poi le possibilità che arrivino un terzo e forse anche un quarto candidato in grado di raccogliere i consensi dei delusi dall’ennesima puntata dello scontro tra Veltroni e D’Alema, ormai arrivato agli eredi. Se Goffredo Bettini potrebbe lanciare Ignazio Marino o Anna Finocchiaro, il gruppo dei piombini potrebbe decidere di esprimere una sua candidatura nel tentativo di scompaginare le carte. Persa Debora Serracchiani, ormai irrimediabilmente alla corte di Franceschini, il più indiziato è Pippo Civati, consigliere regionale in Lombardia.

Nel frattempo sta iniziando a circolare la bozza di regolamento congressuale che sarà discussa e approvata venerdì dalla direzione nazionale del partito. Di certo si sanno già alcune date: la convenzione nazionale è convocata per l’11 ottobre, le convenzioni provinciali si dovranno svolgere entro il 4 ottobre, le convenzioni regionali entro il 10 ottobre. Le primarie per eleggere i membri dell’assemblea nazionale e di quella regionale sono fissate per il 25 ottobre, e votare stavolta costerà due euro. Per candidarsi occorre raccogliere le sottoscrizioni di almeno il 10% dei componenti dell’assemblea nazionale uscente, oppure di un numero di iscritti compreso tra 1500 e 2000, distribuiti in non meno di cinque regioni, appartenenti ad almeno tre delle cinque circoscrizioni elettorali per il Parlamento europeo. Le firme vanno depositate entro le 20 del 23 luglio, poi inizierà la discussione nei circoli territoriali e via via a salire fino alla convenzione nazionale.

Una convenzione che potrebbe vedere il primo dibattito politico vero e divisivo nella breve storia del Pd, ma che comunque non riesce ancora a scaldare i cuori degli osservatori, figuriamoci dei militanti, oggi combattuti tra il terrore e la nausea. Terrore di trovarsi in una situazione piuttosto rara – la scelta tra due candidati alternativi: miracolo! – e la nausea di assistere sempre a una riedizione della solita vecchia battaglia. Una volta, ai tempi di quel Pci che molti non fanno mistero di rimpiangere, «in nome del rinnovamento» i dirigenti attempati si facevano da parte. Oggi invece i dirigenti più attempati se ne sentono minacciati, e quindi avvertono il bisogno rassicurare la base, di distinguere, di proteggere loro e il partito. Rinnovamento sì, ma a piccole dosi. D’altra parte, le cose non vanno mica poi così male.

(per Giornalettismo)