La stampa israeliana sull’Iran
La stampa israeliana guarda con attenzione alle rivolte iraniane fin dal loro inizio e, dopo qualche iniziale diffidenza, si sta facendo largo un sostegno sempre maggiore alle proteste.
Un editoriale di Ha’aretz esprime solidarietà ai manifestanti iraniani e corregge il tiro delle prime analisi del voto: “Sebbene non siano ancora noti gli obiettivi e le conclusioni di quello che sta succedendo, quello che abbiamo visto finora è sufficiente a dare una lezione di umiltà a quelli che di solito sono considerati degli esperti in virtù del loro accesso a fonti e materiali riservati”. Il riferimento è alle dichiarazioni del capo del Mossad, Meir Dagan, che aveva minimizzato l’impatto dei brogli elettorali, sostenendo che tra Ahmadinejad e Mousavi non c’erano molte differenze e le proteste si sarebbero dissolte nel giro di pochi giorni.
“La differenza tra Ahmadinejad e i suoi padrini, e Mousavi e i suoi sostenitori, è scritta con il sangue nelle strade di Teheran. Anche se Mousavi sostiene il programma nucleare (che, per inciso, fu avviato dallo scià, alleato di Israele), non si può non tener conto della minaccia senza precedenti lanciata da Mousavi all’ayatollah Khamenei e all’intero regime. Le sanzioni economiche che la comunità internazionale infliggerà all’Iran, se questo dovesse continuare a massacrare dei civili”, conclude l’editoriale, “contribuiranno a rendere più difficile il cammino verso il nucleare di guerra, e ridurranno la minaccia di un confronto militare diretto con Israele. Un’altra buona ragione per sperare che il popolo iraniano abbia la meglio sui suoi dittatori”.
Anche il Jerusalem Post pensa che la figura di Mousavi debba essere rivalutata in seguito ai fatti di questi giorni. “Indipendentemente da quali fossero le sue intenzioni originali, Mousavi rappresenta oggi qualcosa di più che una semplice alternativa soft ad Ahmadinejad. La sua influenza potrebbe essere una buona cosa per l’Iran e per il mondo, anche se nessuno ha ancora capito del tutto le intenzioni di quella parte di élite che lo sostiene. Negando la legittimità dei risultati elettorali spacciati da Khamenei per ‘volere divino’, però, questa fazione ha minato le basi stesse del regime. Magari vogliono solo riformare la repubblica islamica, invece che rovesciarla. Ma il popolo iraniano potrebbe pensarla diversamente”.
Di tutt’altro avviso Soli Shavar su Yediot Ahronoth, secondo cui sui fatti di questi giorni ha pesato molto di più lo scontro tra le due fazioni interne al regime, piuttosto che la lotta per la libertà e la democrazia. “Mentre gli iraniani protestano per i trent’anni di oppressione a cui sono stati sottoposti, per le violazioni dei diritti umani e per la grave situazione economica del paese, dietro le quinte della rivolta sta avendo luogo un feroce scontro di potere tra due differenti fazioni, e in particolare tra due ayatollah: Ali Khamenei and Ali Akbar Hashemi Rafsanjani”.
“È probabile che Rafsanjani stia cercando di coalizzare attorno a sé tutte le fazioni distanti da Khamenei, in modo da marginalizzare i conservatori ma salvare la repubblica islamica e avviare un percorso di riforme”, conclude Shavar. “Dovremmo però avere chiaro che ciò che sta principalmente a cuore a Rafsanjani non è il futuro del regime, ma solo il suo tornaconto”.