Le voci dell’incontinenza
Col solito senso di responsabilità che oramai li contraddistingue, i massimi dirigenti del Pd hanno avuto la geniale idea di cominciare la campagna congressuale mentre è ancora in corso la campagna elettorale. Massimo D’Alema rinnova il suo appoggio a Pierluigi Bersani dai microfoni di Red, mentre lo stesso Bersani racconta a Repubblica della decisione di fare della vecchia sede dell’Ulivo il suo comitato elettorale. Anche Enrico Letta appoggia pubblicamente la candidatura di Bersani, affidando però il suo endorsement alle pagine del Corriere della Sera. Non che dall’altra parte si stia con le mani in mano. Walter Veltroni esce dal silenzio post dimissioni per sostenere la candidatura dell’attuale segretario, già suo vice, Dario Franceschini. La cosa comica è che Franceschini finora ha sempre detto di non volersi candidare, ma tutti sono certi del contrario al punto da essere già passati agli endorsement: dev’essere noto per essere uno di parola, Franceschini. Sono ricominciate le oziose schermaglie tra clan, insomma. Ogni gruppo muove le sue armate, stringe alleanze e tenta di costringere l’avversario a scoprire le sue carte, col solito gioco incrociato di dichiarazioni ambigue, interviste in politichese e minacciosi raduni di questa o quella corrente.
Le truppe sono schierate. Franceschini è sostenuto dai veltroniani e dai popolari, in sostanza il cuore dello schieramento che portò Veltroni alla segreteria del Pd. Pierluigi Bersani ha l’appoggio dei dalemiani, dei lettiani e sembra, incredibilmente, persino degli ulivisti. Goffredo Bettini smania da settimane per lanciare in pista un terzo nome e, incassato il prevedibile no di Nicola Zingaretti, la scelta sembra essere caduta su Ignazio Marino, al quale sembra i rutelliani possano opporre addirittura la candidatura di Paola Binetti, in qualità di portavoce di un’area pronta a fare le valigie subito dopo il congresso. Davanti a un tale spiegamento di forze, i più in difficoltà sono i cosiddetti giovani. Da un lato il gruppo dei piombini – Civati, Concia, Gozi, Meo, Sofri, Scalfarotto – che dovrebbe esprimere un proprio candidato e si è dato appuntamento il 27 giugno a Torino per parlare del congresso; dall’altro il gruppo dei cosiddetti “quarantenni” – Boccia, Orlando, Martella – che si incontreranno il 2 luglio a Roma e che in molti danno a un passo dal dare il loro sostegno a Pierluigi Bersani. In mezzo al guado Debora Serracchiani, che parteciperà all’iniziativa dei piombini ma anche a quella promossa da Veltroni per sostenere Franceschini.
Non si tratta, però, di uno scenario definitivo. Per una classe dirigente allergica alle discussioni franche e alle competizioni vere, una lotta destinata a mostrare inevitabilmente un vincitore e uno sconfitto è un avvenimento più unico che raro. Per questo motivo, molti sostengono che fino all’ultimo momento resterà in piedi l’ipotesi del cosiddetto «accordone» su un candidato unitario. Il solito unanime patto dell’establishment per garantire l’elezione sicura a un candidato ostaggio dell’umore di ogni piccola minoranza. Espressione di tutte le anime del partito, quindi di nessuna. La prospettiva sarebbe particolarmente sgradita ai candidati minori, su tutti Ignazio Marino, che in presenza di un tale accordo vedrebbero ridursi di molto i margini di manovra in vista del congresso. Il più spaventato da questa ipotesi è però Pierluigi Bersani. E’ noto che la sua candidatura non va giù ai popolari, che in caso di «accordone» si farebbero promotori di un altro nome. Ed è noto allo stesso modo che D’Alema vorrebbe essere sicuro di appoggiare il cavallo vincente, e in presenza di una competizione particolarmente difficile e serrata potrebbe voltare le spalle a Bersani e puntare su un altro candidato, forse su quello stesso Franceschini a cui in questi mesi non ha certo lesinato apprezzamenti.
La partita del congresso è ufficialmente cominciata. Poco importa se la campagna elettorale non è ancora finita, e nel giro di poche giorni si decideranno le sorti di amministrazioni fondamentali come quelle di Bari, Firenze, Bologna, Torino, Milano. Di certo poco importa a D’Alema, Letta, Bersani e Veltroni, i quali non sono riusciti a fare a meno di trattenersi qualche giorno ancora: gli scappava di ricominciare a litigare subito, mentre lì fuori i militanti e gli iscritti stanno ancora tentando di convincere la gente a votare Pd. La prossima volta che beccate qualcuno di loro a cianciare di come al centrosinistra italiano servano «esperienze» e «responsabilità» che i giovani non sono in grado di portare, siete autorizzati a scoppiare in una risata. La stessa cosa vale per i profeti del professionismo in politica – altro che società civile – che poi si comportano come bambini di nove anni. Sarebbe difficile, davvero, fare le cose peggio di così.