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L’analisi del voto

Il punto di partenza era questo promemoria. Seguirà un’analisi più precisa e a freddo sul dato del Pd (giovedì, su Giornalettismo) e qualcosa di più approfondito anche sul risultato di Ivan Scalfarotto.

Pdl – 35,5%
Lo avevo scritto: Berlusconi aveva scelto l’elezione sbagliata per tentare di sfondare il muro del 40%. Le condizioni per un simile risultato non c’erano già prima che scoppiasse il caso Noemi, figuriamoci dopo. Per un uomo del suo fiuto politico, si tratta di un errore capitale, specie perché si trattava della prima prova elettorale dopo il congresso di scioglimento di An e quello fondativo del nuovo partito. Eviterei però entusiasmi particolari: di fatto, le opposizioni non hanno rubato un solo voto al centrodestra e il risultato delle amministrative non è affatto confortante. Il risultato deludente del Pdl è direttamente collegato alla bassa affluenza (in Sicilia, roccaforte del Pdl, poco sopra il 40%!) e alla competizione certamente poco mobilitante. Quando si voterà per qualcosa che conta davvero – non che l’Europa non conti, ma avete capito – gli elettori del Pdl torneranno in forze a votare Berlusconi. Ci siamo già passati una volta, nel 2006: il centrosinistra pensava che sarebbe bastato aspettare sulla riva del fiume la caduta di Berlusconi e il governo gli sarebbe rotolato ai piedi. Non è bastato allora, non basterà stavolta. Per questo motivo io sono più preoccupato che sollevato, dal risultato deficitario del Pdl.

Pd – 26,1%
Sette punti percentuali e quattro milioni di elettori in meno dalle politiche, addirittura un punto sotto quell’imbarazzante asticella fissata al 27%. Il fatto che potesse andare molto peggio dovrebbe far venire i brividi, piuttosto che indurre alle pacche sulle spalle. Sorpassati dal Pdl in Umbria e nelle Marche, distrutti in Lombardia, battuti alle amministrative, incalzati da Di Pietro. Si potrebbe scrivere un libro sul come si è finiti fin qui, e infatti in libreria ce ne sono due o tre. La speranza è che questo turno elettorale abbia chiuso un ciclo. Si apre ora una stagione congressuale che potrebbe dare al partito vitalità e pubblicità, ma a una condizione: che sia una competizione vera, aperta, appassionante. Se la lotta tra componenti sarà giocata con gli stessi strumenti di questi dodici mesi – interviste al vetriolo, colpi bassi, politichese, minacce – invertire la tendenza sarà impossibile.

Lega – 10,2%
Il risultato della Lega è notevole. Anche se non si tratta del massimo risultato storico – la Lega prese il 10,4% al Senato, nel 1996, presentandosi da sola alle politiche – questo 10,2% è una prova di forza che avrà le sue conseguenze negli equilibri del centrodestra. Paradossalmente, potrebbe essere questa la notizia migliore che viene dalle urne, per il Pd: si comincia dai ballottaggi, che la Lega potrebbe boicottare a causa della concomitanza del referendum, per proseguire con le partite di Lombardia e Veneto. L’indebolimento del Pdl non è sufficiente da lasciar pensare a una modifica sostanziale dell’azione di governo, ma potremmo assistere a un bel po’ di rumore: polemiche, dichiarazioni al vetriolo, dispettucci vari. Le buone notizie però finiscono qui. L’avanzata della Lega alle amministrative racconta di un partito che sa essere populista e pragmatico insieme, mentre quella nelle regioni non settentrionali – un eletto nella circoscrizione Centro, 3,5% in Umbria, 5,5% nelle Marche (più di S&L e comunisti), addirittura 1% in Calabria – spaventa. Possono crescere ancora, ovunque.

Idv – 8%
L’Idv raggiunge la sua massima espansione, raddoppia i suoi voti e si prepara a trasformarsi. Si tratta di una decisione inevitabile: lo stesso Di Pietro sa bene che parte di questo consenso è estremamente volatile e il Pd potrebbe anche non fare sempre schifo come in questi mesi. D’altra parte, in partiti incentrati soprattutto sul carisma del loro leader, privi di radicamento territoriale e classe dirigente diffusa, ogni cambiamento rischia di essere un salto nel vuoto. Non c’è altra strada, però, e l’errore sarebbe limitarsi a togliere il nome “Di Pietro” dal simbolo. Come si diceva in quel film: with great power comes great responsibility. Ora inizia il difficile.

Udc – 6,5%
È una sorpresa, ed è l’unica cosa che non avevo previsto. L’Udc perde qualche voto mantenendosi sui livelli delle politiche, ma il calo dell’affluenza fa lievitare il suo risultato fino al 6,5%. Da qui a dire che gli italiani sono stufi del bipolarismo, secondo me ne passa. Casini sostiene che la cosa sarebbe dimostrata dal fatto che il centrodestra perde voti che il centrosinistra non guadagna. Se questo corrispondesse a un rifiuto del bipolarismo, però, ci sarebbe una terza forza a fare il pienone: invece perde voti anche lui. Gli italiani che soffrono il bipolarismo ci sono, e sono quelli che votano Udc. Sono un po’ pochini per pensare di metterlo in discussione, per ora.

Lista anticapitalista – 3,3% / Sinistra e Libertà – 3,1%
Faccio un discorso unico perché, salvo qualche sfumatura, l’analisi che avevo fatto prima del voto vale per entrambe queste aggregazioni. Se neanche in un’elezione come le europee, dove notoriamente il voto si disperde, la governabilità non esiste e l’affidabilità di uno schieramento politico è l’ultima preoccupazione degli elettori, queste liste riescono a ottenere il 4%, non so cos’altro debba accadere per indurre questa classe dirigente logora e vetusta a inventarsi qualcosa di nuovo o passare la mano. Si può essere favorevoli o no allo sbarramento, ma quando nove formazioni politiche (nove!) non riescono a raggiungere un risultato come quello, è arduo parlare di rappresentanza mancata. Rappresentanza di chi? Di nove gruppetti con percentuali da prefisso telefonico? Avrebbero molte più ragioni di lamentarsi dello sbarramento i radicali, piuttosto che questi cartelli estemporanei. Forse bisognerebbe cambiare strategia: la politica non si fa sommando simboli e percentuali sperando che bastino a soprassare questo o quel quorum, bensì con progetti solidi, credibili e di lungo respiro. Il fatto che contemporaneamente Di Pietro raddoppi i suoi voti dimostra una volta per tutte che è inutile prendersela col Pd. La stessa cosa vale per Claudio Fava, un ottimo europarlamentare, che alle europee del 2004 nella sua Sicilia prese oltre 220mila voti e stavolta ne ha presi appena 17mila. Non è che gli elettori reputano “voto utile” quello dato al Pd, il punto è che reputano “voto inutile” quello dato a queste liste e questi simboli, così vuoti e polverosi. Un altro esempio: i candidati della lista anticapitalista e parte di quelli di S&L rivendicavano che in caso di elezione si sarebbero andati a sedere tra i banchi di un gruppo che si oppone non solo al trattato di Lisbona, ma persino a quello di Maastricht. Cos’è, volevano insidiare la Lega sul campo dell’euroscetticismo? Volevano sfondare a sinistra con gli argomenti di Le Pen? La parte buona di Sinistra e Libertà (che c’è, certo che c’è) venga nel Pd, a spostare il suo asse, combattere le correnti più conservatrici e rinforzare il fronte di chi vuole un partito che abbia a cuore quelle due parole: sinistra e libertà. Gli altri spariranno elezione dopo elezione, poco per volta.

Radicali – 2,4%
Hanno fatto quel che dovevano: la loro era soprattutto una battaglia per la sopravvivenza politica, e l’hanno vinta. Però in politica bisogna fare un po’ di più che tentare di sopravvivere, no?

Mpa, Destra, Pensionati, Alleanza Democratica – 2,2%
Lontanissimi dal quorum, se non fosse stato per Lombardo (15% solo in Sicilia) non sarebbero arrivati nemmeno all’1%. È un bene, specie per quel che riguarda i Pensionati (che la scorsa volta avevano conquistato un seggio, in assenza di sbarramento) e la Destra, che non riesce a portare la lista all’1% nemmeno nel Lazio. La prossima volta che vedete Francesco Storace pontificare su questo e quello, fateglielo presente.