L’implosione
A pochi giorni dal voto alle elezioni europee, è difficile resistere alla tentazione di fare bilanci e pronostici. Le analisi più interessanti e fondate sono di certo quelle fatte a urne chiuse e schede scrutinate. Nonostante questo, però, possiamo già dire qualcosa della campagna elettorale che sta per concludersi e, soprattutto, di come l’ha affrontata il Pd.
All’inizio della campagna elettorale il centrodestra e Silvio Berlusconi erano all’apice della loro popolarità. Niente sembrava scalfire i consensi del premier, niente lasciava presagire la possibilità per il Pd di rosicchiare qualcosa alla maggioranza. Sembrava semmai che Franceschini avrebbe dovuto difendersi più dai cespugli attorno a lui, Di Pietro e Vendola, piuttosto che tentare di rubare consensi al centrodestra, che sembra essere diventata una pratica d’altri tempi. Nel disastro generale, quindi, Franceschini aveva un vantaggio: sicuro della sconfitta, poteva impostare la sua campagna elettorale senza le pressioni e le tensioni di chi si trova impegnato in un testa a testa. D’altra parte, come aveva detto, il suo è un incarico a termine: non aveva niente da perdere. Prima ancora che potesse inventarsi qualcosa di originale, spiazzante e rivoluzionario – probabilmente non lo avrebbe fatto, ma diamogli credito – Silvio Berlusconi veniva però coinvolto in due vicende che avrebbero cambiato radicalmente l’agenda delle settimane, per lui e per i suoi avversari. Prima la pubblicazione delle motivazioni della condanna di David Mills, che lo tirano in ballo più o meno direttamente come possibile corruttore dell’avvocato britannico. Poi la festa di compleanno di Noemi Letizia a Casoria, con tutto il bailamme che ne è seguito. In un batter d’occhio l’Europa è stata sbalzata via dal palcoscenico, riconquistato dal premier e dai suoi affari. Prima che qualcuno potesse accorgersene, le elezioni per il rinnovo del parlamento europeo si erano trasformate nell’ennesimo referendum su Berlusconi.
Se questo abbia giovato o no a Berlusconi lo sapremo solo dopo il voto: sembra però che il centrodestra non abbia subito particolari contraccolpi in termini di consensi, e le uniche preoccupazioni per la maggioranza potrebbero provenire da un mutamento degli equilibri di forza tra Pdl e Lega. Non si può dire nemmeno che se vicende abbiano giovato o no al Pd. L’andamento di Franceschini è apparso indeciso ed erratico: prima rispettoso delle vicende private, poi ottusamente arrogante, poi costretto alla marcia indietro a causa della sparata sull’educazione dei figli di Berlusconi. Un atteggiamento debole, subalterno e per nulla accattivante. Non tutte le colpe sono di Franceschini, però: di fatto, il segretario del Pd si è trovato a portare avanti l’intera baracca praticamente da solo. I cinque capilista dei democratici – ne abbiamo scritto la scorsa settimana – si sono resi protagonisti della campagna elettorale più anonima e inconsistente che si ricordi da diverso tempo a questa parte, e i dirigenti del partito (fino allo stesso Franceschini) sono stati costretti a scrivere missive di fuoco ai coordinatori regionali e provinciali perché garantiscano il loro sostegno ad alcuni candidati molto blasonati ma poco apprezzati. La campagna di comunicazione ha avuto qualche intuizione ma è mancato un progetto organico, nei contenuti e nello stile, che armonizzasse e in integrasse tra loro gli spot, i manifesti, le pagine web. Le campagne di comunicazione si fanno per declinare in infiniti modi diversi lo stesso messaggio; il Pd l’ha fatta declinando infiniti messaggi in infiniti modi diversi. Ne è venuto fuori un pastrocchio confuso, che non sembra essere servito a un granché ma che rappresenta comunque un notevole passo avanti rispetto al nulla delle politiche del 2008.
Per dare un’idea di quello che è accaduto negli ultimi dodici mesi, basti pensare che alla vigilia delle politiche, col centrosinistra appena andato in frantumi e il governo Prodi congedato con disonore, l’asticella del Pd di Walter Veltroni era fissata al 35%. Oggi l’asticella di Franceschini è fissata al 27%, e in molti brinderebbero davanti a un simile risultato. Sopra quella soglia, il segretario del Pd cercherà di restare attaccato alla poltrona, rendendo estremamente imprevedibile il risultato del congresso di ottobre. Sotto quella soglia la palla passa in mano a Bersani, anche se un risultato estremamente negativo potrebbe rimescolare ulteriormente le carte. Nell’ottica del bilancio post-elettorale, avrà un peso notevole anche l’esito delle amministrative. Le sfide più significative sono quelle di Milano, Firenze e Bologna: se il Pd ne centra due su tre può essere contento, se ne centra una o meno di una è un disastro, se ne centra tre su tre è un successo. Se vogliamo chiamarlo così.