Questo sito contribuisce alla audience di IlPost

Capilista manca(n)ti

La decisione del Pd di non inserire personaggi ineleggibili nelle proprie liste è stata già ampiamente discussa e generalmente approvata. Che lo facciano tutti gli altri e che possa portare dei vantaggi non sono motivazioni sufficienti a fare una cosa che qualunque persona in buona fede definirebbe quanto meno poco corretta. Dato però che essere onesti non vuol dire essere fessi, il buon senso voleva che il Pd avesse comunque degli assi nella manica per valorizzare le proprie liste. Questi assi nella manica dovevano essere i capilista, scelti direttamente dal segretario nazionale tra personalità di grande popolarità e capaci di fare da traino per tutta la compagine democratica. La legge elettorale delle europee impone di fatto questo ruolo ai capilista: i seggi infatti non scattano sulla base delle preferenze ricevute dai candidati bensì sulla base dei voti attribuiti globalmente al partito. Può essere quindi molto utile avere come capilista personaggi in grado di muovere almeno 300 mila preferenze, senza contare che la cosa aiuta molto anche gli altri candidati, che possono usufruire di appoggi forti e notorietà da sfruttare.

Nel 2004, i primi della lista “Uniti nell’Ulivo” furono Pierluigi Bersani nel Nord Ovest (342 mila preferenze), Enrico Letta nel Nord Est (175 mila preferenze), Lilli Gruber al Centro (796 mila preferenze), Massimo D’Alema al Sud (832 mila preferenze) e Luigi Cocilovo nelle Isole (158 mila preferenze, eletto per un pelo). A questo giro non sembra che la pattuglia dei capilista del Pd sia altrettanto attrezzata. Sergio Cofferati e Luigi Berlinguer godono di una popolarità piuttosto traballante e difficilmente attrarranno frotte di votanti che non siano d’apparato. Sassoli non sembra in grado di replicare il risultato di Lilli Gruber; meno che mai potrà farlo Luigi De Castro col suo predecessore al Sud. Rita Borsellino nelle Isole dovrebbe riuscire a fare meglio di Luigi Cocilovo, ma si trova alla terza campagna elettorale in quattro anni e il suo profilo sembra essersi logorato un po’. Insomma, osservando la campagna elettorale del Pd fino a questo momento, emerge un dato piuttosto evidente: i capilista non tirano. Se ne sta accorgendo chi fa campagna nel collegio, sul famigerato territorio, e si trova a dover fare affidamento solo sulle proprie risorse e sulle proprie gambe.

Dato che i capilista non tirano – e a volte, come nel caso di Cofferati, sono addirittura invisi alla base del partito – i candidati meno forti sono costretti a cercare altri personaggi forti a cui accoppiarsi. Nel Nord Ovest tutti pendono dalle labbra di Antonio Panzeri, europarlamentare uscente, sostenuto con disciplina militare da tutti i circoli del Pd. Un altro pezzo da novanta è la teodem Patrizia Toia, sostenuta dall’associazionismo cattolico ma nella cui campagna sarebbero emersi dei malesseri, per via dell’appoggio che i circoli e i dirigenti del Pd di Milano starebbero riservando all’outsider Ivan Scalfarotto. Nel Nord Est i candidati emiliani e veneti fanno a gara per farsi vedere vicino a Debora Serracchiani: il partito friulano però la schiva, per usare un eufemismo, e preferisce puntare forte sull’ex-Margherita Gabriele Frigato. Nella circoscrizione Centro il più richiesto è Roberto Gualtieri, del quale si racconta di mitologiche cene elettorali con centinaia di facoltosi invitati: se la forza di un candidato si misurasse attraverso il numero di manifesti abusivi che affigge sui muri della città, il ricercatore universitario di area dalemiana sarebbe certo di sfondare il miliardo di preferenze. Nella circoscrizione Sud Gianni Pittella e Rosaria Capacchione sono attesi da un ottimo risultato, addirittura superiore a quello del capolista De Castro. Nelle Isole – oltre alla Borsellino – il sindaco di Gela Rosario Crocetta gode di grande popolarità per via delle sue battaglie contro la mafia, mentre Italo Tripi può giovarsi dell’appoggio incondizionato delle strutture della Cgil siciliana. Panzeri, Serracchiani, Gualtieri, Pittella, Crocetta. I capilista alternativi, in qualche modo.

La saggia decisione del Pd di non candidare personaggi ineleggibili poteva essere portata avanti con una squadra migliore. Sarebbe bastato prendere questa decisione in tempo utile per lanciare sul panorama nazionale altre due o tre figure come Debora Serracchiani, oppure chiedere a un paio di parlamentari di dare le dimissioni per fare politica a Strasburgo. Senza scomodare le vecchie glorie – D’Alema, Bersani, Rutelli – forse persone come Ignazio Marino, Francesco Boccia o Federica Mogherini potevano avere le carte in regola per guidare le liste del Pd e fare di queste elezioni un trampolino per le loro aspirazioni politiche. Forse si poteva anche evitare l’umiliazione inflitta ai Radicali e fare di Emma Bonino un’ottima ed efficace testa di lista. Per essere considerata bella ed entusiasmante, una lista deve avere due caratteristiche: non deve avere candidati truffa, deve avere candidati bravi e appropriati. Il primo obiettivo è stato centrato. Sul secondo sono stati fatti diversi passi avanti, ma si può ancora lavorare.

(per Giornalettismo)