Padelle e braci
Davanti alla decisione del governo di fare contento Bossi e dire no all’election day, la reazione del Pd è stata pressoché unanime: «Un spreco inutile». Qualcuno però tira un sospiro di sollievo: la decisione di Berlusconi ha evitato al Pd un piccolo disastro.
Intendiamoci: il fatto che un partito sappia combattere una battaglia che ritiene giusta anche quando questa non dovesse favorirlo direttamente, è certamente una cosa positiva. Possiamo discutere di quanto sia stata o no sensata la proposta di far tenere i referendum nella stessa data delle elezioni europee, ma dire che il Pd non avrebbe dovuto proporlo perché penalizzato in caso di vittoria del sì è un’opinione cinica e debole quanto quella speculare della Lega. C’è di vero però che una vittoria del sì ai referendum potrebbe innescare una reazione a catena dalle conseguenze tragiche, per il centrosinistra: crisi di governo, nuove elezioni e – prevedibilmente – nuova sconfitta, nuovo Parlamento ancora più sbilanciato a destra, in carica fino al termine del settennato Napolitano e con i numeri necessari a modificare la Costituzione. Un incubo.
L’incubo non è ancora stato scongiurato, ovviamente. E’ ancora possibile che i referendum raggiungano comunque il quorum e inneschino il meccanismo di cui sopra, dato che appare improbabile oggi che alla fine i No abbiano la meglio sui Sì. In quel caso, l’exit strategy del Pd – così come della Lega, dell’Idv, dell’Udc e della sinistra extraparlamentare – sarebbe una: chiedere di non andare immediatamente a nuove elezioni e formare un governo istituzionale che abbia il solo compito di scrivere una nuova legge elettorale. Possono succedere tre cose, allora. La prima è la classica opzione fine-di-mondo: il Pdl decide di tirare dritto, anche a costo di rompere con la Lega, e si mette di traverso. Niente maggioranza in Parlamento per formare un nuovo esecutivo, elezioni anticipate e Berlusconi che tenta di ottenere la sua vittoria più grande e importante. Non è detto che ci riesca: storicamente gli elettori se la prendono sempre un po’ con chi, già al governo, indice nuove elezioni per rafforzare la sua posizione. Il Pd in quel caso farebbe bene a ricordarsi quanto fece il leader dei conservatori David Cameron qualche anno fa, quando Gordon Brown stava pensando di indire nuove elezioni durante la sua luna di miele: l’unico modo per scamparla e non essere travolti è sfidare l’avversario, portarlo a decidere in pochi giorni, costringerlo a scoprire le sue carte. L’opzione fine-di-mondo avrebbe un prezzo non da poco per il Cav.: la rottura totale con la Lega comporterebbe infatti un’apocalisse nelle amministrazioni locali del settentrione in cui il partito di Bossi viaggia su percentuali vicine al 30% dei consensi.
La seconda possibilità è che Berlusconi, col coltello dalla parte del manico, si dichiari disponibile a un governo di transizione e – forte della sua posizione insostituibile – si ritrovi di fatto a dettare gli articoli della nuova legge elettorale. Una legge elettorale che assomiglierebbe tantissimo all’attuale porcellum, limitandosi ad accogliere la proposta referendaria del divieto di candidature multiple e dell’attribuzione su scala nazionale del premio di maggioranza al Senato. Sarebbe una legge di transizione, scritta con l’impegno preciso di modificarla nel quadro di una riforma generale del sistema istituzionale italiano. Riforma che scriverebbe il nuovo Parlamento: provate un po’ a immaginare di che si tratta.
La terza è più improbabile possibilità è che si formi davvero una maggioranza alternativa a quella attuale, composta da Pd, Idv, Udc, Lega e qualche pezzo ribelle del Pdl, allo scopo di scrivere una nuova legge elettorale. Sorgerebbero però due problemi. Il primo: come si fa a mettersi d’accordo? Il secondo: come aggirare l’obbligo di tenere conto della volontà popolare espressa dal verdetto sui referendum? Qualche costituzionalista – nonché il Capo dello Stato – potrebbe avere da ridire davanti all’ipotesi di abrogare e sostituire una legge perché le modifiche decise dai cittadini sarebbero sgradevoli o poco opportune. Insomma, un rebus. Un rebus dalla cui risoluzione il paese sarà sollevato solo grazie alla prevedibile circostanza che il referendum non raggiunga il quorum. Fino ad allora, però, ci sarà da divertirsi. Chi pensava che la vittoria del centrodestra alle ultime elezioni avesse quantomeno aperto una fase di stabilità politica per il nostro paese, farà meglio a ricredersi.