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Uè! Embè?

Sono in giro già da diversi giorni, per cui sarà pure il caso di parlarne, di questi benedetti manifesti del Pd.

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«Meno tasse per tutti», «Pensioni più alte», «città più sicure». Era il 2001, e difficilmente gli slogan di una campagna elettorale rimangono impressi nella memoria collettiva per così tanto tempo. Otto anni sono tanti, tanti abbastanza da presumere che il centrosinistra abbia imparato la lezione. Che le sconfitte siano servite a capire quali sono le due caratteristiche fondamentali dei manifesti politici. Invece no.

Il primo ingrediente è la rapidità. Lo slogan dev’essere chiaro e non dev’essere lungo più di quattro o cinque parole: deve tatuarsi nella mente di chi se lo trova davanti già dopo la prima lettura, deve potersi leggere anche inavvertitamente, non deve richiedere all’automobilista di rallentare e strizzare gli occhi. Lo slogan del Pd è lunghissimo e scritto molto piccolo: non va.

Il secondo ingrediente è l’efficacia. Lo slogan deve raccontare l’identità e la visione del partito, attraverso una sua proposta o progetto. Nella sua estrema inconsistenza, «Meno tasse per tutti» è lampante, autoevidente. La stessa cosa vale per «Change we need» o «Yes we can», ancora più vaghi del primo, ma che indicano una direzione funzionale a un messaggio. Qual è il messaggio di «L’Europa si occupa di chi perde il lavoro. Berlusconi no»? Cosa vuol dire? Cosa ci racconta del Pd, di cosa vuole fare, di che Europa vuole? Cosa promette ai cittadini? Cosa propone? Nessuno ne sa nulla.

L’unica flebile intuizione è la sigla Ue trasformata in esclamazione – «Uè!» – ma che c’entrano le persone che vi stanno appoggiate sopra? Cosa fanno, a che servono, qual è il loro ruolo nel manifesto? Il minimo sindacale della banalità – ma proprio il minimo – sarebbe stato vederle vestite da professionisti, da medico, da architetto, da salumiere. Invece questi sembrano figuranti scartati all’ultimo casting, ritratti dentro le mura bianche di case abbandonate (perché?) e appoggiati su un’enorme «Uè!». Embé?

Ovviamente rapidità ed efficacia non sono tutto. Qualcuno potrebbe sostenere che anche «La serietà al governo» era rapido ed efficace, e sappiamo com’è andata. Ma quella non era una campagna di comunicazione, era un manifesto ed era pure lugubre: le campagne di comunicazione invece sono operazioni complesse e composite, e i manifesti non ne sono che un segmento. L’unica consolazione è che la comunicazione del Pd potrebbe puntare presto anche su un’altra serie di manifesti, sorretti da una piccola trovata e con uno slogan un po’ più efficace – «Più forti noi, più forti tu». Non sono bellissimi – tutt’altro – ma almeno vogliono dire qualcosa.

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