Ancora sulla data dei referendum
Si sta continuando a discutere – più in rete che sulla stampa, a dire la verità – della decisione del governo di far svolgere i referendum in una data differente da quella delle elezioni europee e amministrative. Io ho detto come la penso qualche settimana fa e tra le altre cose dicevo:
Penso che uno tra i più preziosi dei diritti umani e politici – il diritto al voto – meriti di essere esercitato nella migliore condizione possibile, e penso che nessuna democrazia degna di questo nome dovrebbe farsi i conti in tasca quando si tratta di garantire la qualità dell’esercizio del voto dei propri cittadini.
Detto questo, a me non sembra che in questo caso sussista alcun pericolo di rendere le operazioni di voto e di spoglio più confuse o complicate di quanto non sarebbero comunque. Piuttosto sarei moderatamente contrario a far disputare le amministrative nella stessa data delle europee, così come sono stato decisamente contrario all’idea che nello scorso aprile si votasse contemporaneamente per le politiche e le amministrative (chi votava a Roma si ricorderà del delirio di schede). Nel caso di questi referendum, penso che sia profondamente illiberale e scorretto che il governo decida di far disputare il referendum in piena estate e dopo due domeniche elettorali consecutive pur di affossarne il quorum. Se il punto è che l’election day porta a uno speculare aggiramento del quorum, allora avrebbe avuto ben più senso far svolgere il referendum elettorali in una data qualsiasi di aprile o maggio, anche nella domenica prima delle amministrative, piuttosto che nell’ultima domenica di giugno. D’altra parte se a uno danno fastidio i trucchetti per aggirare il quorum, allora gli danno fastidio tutti, no? Poi, capisco le esigenze di comunicazione, ma penso che sia questo e non il discorso dei 400 milioni di euro il punto su cui battere, anche perché – pur con tutta la buona fede del mondo, che in certi casi c’è ma in altri molto meno – trovo che sia pericoloso e opportunista mettere i costi della democrazia (che ci sono, sono ingenti e sarebbe preoccupante se non fosse così) nello stesso calderone degli «sprechi della casta», prestando il fianco a facili demagogie.
Ora, un’opinione simile alla mia è stata espressa pochi giorni fa da Francesco Cundari:
Vi rendete conto o no di quale principio si sta affermando, in questo modo? No? Lo devo spiegare? Va bene. Poniamo che domani Berlusconi proponga di tenere le elezioni, invece che una volta ogni cinque anni, chessò, una volta ogni dieci. Tutte le elezioni. Avete idea di quanti soldi si risparmierebbero? Altro che 400 milioni! E quante cose sacrosante si potrebbero fare con quei soldi, quanti aiuti a poveri e bisognosi! Vi sembra lo stesso una pessima idea? Anche a me. Ma ora ditemi, con quale argomento pensate che potreste contestarla, quando sull’altro piatto della bilancia Berlusconi mettesse indennità di disoccupazione come se piovesse, milioni per i precari e per gli ospedali, miliardi per le forze dell’ordine e per le scuole?
Io capisco benissimo la posizione di partenza, che è la mia: non ci si fa i conti in tasca quando si parla di democrazia. Non farsi i conti in tasca vuol dire discutere del merito del singolo caso, sapendo che in testa alle nostre preoccupazioni debba esserci il perseguimento delle migliori condizioni possibili per esercitare il proprio diritto al voto, piuttosto che il costo economico di quelle condizioni. Detto questo, è evidente che possono esserci dei casi in cui a fronte di una immutata qualità del voto, si possano risparmiare dei quattrini: è lo stesso principio che ci porta già oggi e senza alcuno scandalo a prendere la decisione – discutibile ma certo non criminale – di far svolgere le elezioni amministrative nello stesso giorno delle europee; è lo stesso principio che porta uno stato indubitabilmente democratico come gli Usa a far votare i propri cittadini su tutto lo scibile umano in un solo giorno. A me non piace per niente, per quanto credo sia giusto mettere a verbale che lì non si lamenta nessuno e la loro democrazia ha fornito risultati migliori della nostra: in ogni caso, si tratta di una cosa ben diversa dal sospendere le elezioni o votare ogni dieci anni. L’argomentazione di Cundari mi sembra estremamente scivolosa: questo «si comincia così, poi arriva il peggio» segue la stessa logica di chi si oppone alla fecondazione assistita perché porterebbe a chissà quale deriva eugenetica, di chi è contrario ai matrimoni gay perché anticamera di sconcezze culturali e morali, di chi non vuole una qualsiasi riforma del Csm perché primo passo verso la «deriva totalitaria». Invece no, ed è sempre bene rifuggire da argomentazioni utili solo a evitare di discutere sulle cose. Nel nostro caso, poi, avere a cuore la qualità della democrazia italiana vuol dire anche essere contrari a chiamare i cittadini al voto in piena estate al termine di un estenuante turno elettorale pur di influenzare il risultato di un referendum. Se vogliamo evitare i populismi e i trucchetti, evitiamoli tutti.