La lista di Franceschini
Ci sono due motivi per cui il Pd ha ancora qualche speranza di guardare con ottimismo alle prossime elezioni europee. Il primo motivo è che i sondaggi degli ultimi giorni lo danno in lieve ma costante ripresa, grazie all’attivismo di Franceschini e al momento di relativa calma della polemica interna. Il secondo motivo è che i dati di quei sondaggi sono poco indicativi e potenzialmente molto migliorabili. Perché? Perché si tratta di sondaggi che misurano l’appeal del simbolo del Pd, mentre alle elezioni europee l’appeal che conterà sarà un altro: quello dei suoi candidati.
Arriviamo così al nodo della compilazione delle liste elettorali. Così com’è sempre avvenuto per le elezioni europee, le peculiarità della legge elettorale italiana determineranno in modo significativo i criteri per la composizione delle liste. La nostra legge elettorale prevede che la suddivisione del paese in cinque giganteschi collegi (nordovest, nordest, centro, sud, isole) componenti tutti insieme un collegio unico nazionale, che è quello sul cui dato va a incidere il famoso sbarramento al 4%. La presenza di collegi così grandi ha reso sempre necessario un gran numero di preferenze per essere eletti, e questo ha fatto sì che i partiti cercassero di candidare sempre figure dotate di grande popolarità, spesso acquisita fuori dall’impegno politico. Nascono con questo criterio le candidature alle elezioni europee del 2004 di Iva Zanicchi e Marcella Bella, di Michele Santoro e Lilli Gruber, di Solvi Stubing (la bionda della birra Peroni) e Clarissa Burt. La seconda conseguenza di questo fenomeno è che i partiti decidano di candidare in cima alle liste i loro nomi più noti, sebbene poi nessuno di questi possa o voglia realmente andare a fare il parlamentare europeo. Risultato: mentre l’Europa chiede ai paesi membri di scegliere parlamentari con una forte impronta europeista, magari con un sistema elettorale che accentui e rafforzi il rapporto tra candidati e collegi, l’Italia fa l’esatto contrario, relegando il Parlamento europeo a cimitero per elefanti e soubrette e riducendo le elezioni europee a una specie di sondaggione di metà mandato.
Sono passati cinque anni dal triste spettacolo del 2004, e l’aria sembra non essere cambiata affatto. Sia il centrodestra che il centrosinistra sembrano determinati a candidare a capo delle proprie liste tutti i big: Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini saranno dappertutto al numero uno e al numero due, Massimo D’Alema sarà capolista in Puglia, Pierluigi Bersani in Emilia, Giuseppe Fioroni in Lazio, Piero Fassino in Piemonte e via dicendo. Nomi nuovi? Pochi, e in tanti– memori anche dei rumors sulla candidatura del tastierista di Subsonica, venuti fuori durante l’era veltroniana – temono che i pochi nomi nuovi siano scelti sempre privilegiando la celebrità all’esperienza politica o al talento.
Nel Pdl tutto rimarrà fermo fino al congresso di fine mese, ma nel Pd la partita sulle candidature è già aperta. Due giorni fa un gruppo di quattordici parlamentari e dirigenti nazionali e locali del partito ha diffuso un appello per chiedere «che la scelta delle candidature del Partito Democratico avvenga sulla base di criteri nuovi che privilegino la costruzione di una classe politica motivata e le competenze internazionali e aggiornate dei candidati rispetto ai longevi curriculum istituzionali di rappresentanti già carichi di responsabilità». Il documento è firmato da Giovanni Bachelet, Francesco Boccia, Gianrico Carofiglio, Giuseppe Civati, Cristina Comencini, Paola Concia, Gianni Cuperlo, Roberto Giachetti, Sandro Gozi, Pierfrancesco Majorino, Teresa Marzocchi, Matteo Renzi, Luca Sofri e Salvatore Vassallo, e contiene diverse critiche più o meno implicite alla passata gestione delle candidature da parte del centrosinistra: «È importante che chiunque si candidi al Parlamento Europeo assuma l’impegno di dedicarsi pienamente ed esclusivamente al suo mandato per l’intera legislatura: chi viene eletto rimanga in Europa. […] Avere caro il futuro dell’Europa […] significa affidarne le istituzioni al futuro stesso, e non zavorrarle del passato». Non c’è stata ancora nessuna reazione ufficiale ma sembrerebbe che Dario Franceschini e la sua segreteria abbiano accolto con favore il messaggio dell’appello. Tra qualche settimana sapremo se le buone intenzioni – che qualcosa son già, comunque – si saranno trasformate in qualcosa di più.