Turisti della democrazia (cit.)
Stanno già girando diversi appelli (qui, qui e qui) a contestazione della balzana idea del governo di far svolgere il referendum nella terza domenica di giugno, dopo la prima domenica di elezioni amministrative e la seconda di ballottaggi. Altri probabilmente ne verranno.
Ora, su di me l’argomentazione dei 400 milioni buttati attacca poco, perché non sono mai stato un fan degli election day sempre e comunque: trovo, per esempio, che sia stato completamente assurdo far votare lo scorso aprile le elezioni politiche in corrispondenza delle elezioni amministrative. Un cittadino romano il 13 aprile ha ricevuto una scheda per la Camera, una per il Senato, una per il municipio, una per il comune, una per la provincia. Con tre sistemi elettorali diversi, con la possibilità di dare voto disgiunto, con confronti tra coalizioni diverse, eccetera. Una vera follia. Penso che uno tra i più preziosi dei diritti umani e politici – il diritto al voto – meriti di essere esercitato nella migliore condizione possibile, e penso che nessuna democrazia degna di questo nome dovrebbe farsi i conti in tasca quando si tratta di garantire la qualità dell’esercizio del voto dei propri cittadini.
Detto questo, non c’è nessuna esigenza di semplificazione del voto dietro l’intenzione del governo di far svolgere il referendum a fine giugno. Si tratta della vecchia e purtroppo già apprezzata strategia di chi vuol usare un trucco per incentivare l’astensionismo e aggirare la consultazione della volontà popolare. Un palese disprezzo delle regole della democrazia: sarebbe uno scandalo anche se fosse gratis. Ci costa 400 milioni di euro, e quindi c’è da indignarsi ancora di più.