Del populismo
Uno si chiede: ma mentre Barack Obama fa approvare il suo piano di stimolo all’economia e raccoglie indici di gradimento altissimi, i repubblicani che fanno? Beh, i repubblicani tentano di distruggersi con le loro mani. Il personaggio chiave di questi giorni per i repubblicani non è il neo-presidente Michael Steele bensì Rush Limbaugh, storico conduttore radiofonico e autore di un intervento molto discusso all’annuale conferenza dei conservatori (Cpac). Rush Limbaugh è una specie di Beppe Grillo di estrema destra, il peggior cliché repubblicano fatto conduttore radiofonico: nel 2006 prese in giro un malato Michael J. Fox (che in uno spot chiedeva fondi per la ricerca sulle cellule staminali) accusandolo di recitare, l’anno scorso si fece promotore dell’«operazione Caos» invitando i repubblicani a votare per Hillary alle primarie democratiche pur di far sì che la lotta tra lei e Obama proseguisse il più a lungo possibile. In mezzo, opinione razziste di ogni tipo, populismo a vagonate e tutto il peggio che vi possiate immaginare. Il programma radiofonico di Rush Limbaugh è il più seguito di tutta l’America, ma il paese non ha grande considerazione di lui: sondaggi su sondaggi hanno mostrato che oltre due terzi del paese non lo apprezza e lo considera uno dei giornalisti più faziosi e meno credibili della nazione.
Dicevamo quindi del discorso di Rush Limbaugh al Cpac. Un discorso in cui, tra le altre cose, Limbaugh si è augurato che Obama fallisca nel suo tentativo di salvare l’economia. Nonostante una posizione politica praticamente suicida, una parte dell’elettorato repubblicano ha applaudito come non mai: è normale che immediatamente dopo una sconfitta bruciante opinioni del genere scaldino i cuori e, d’altra parte, il partito repubblicano si era opposto in massa al piano di stimolo all’economia, scommettendo esplicitamente sul suo fallimento in vista delle elezioni di metà mandato. I massimi dirigenti dei repubblicani inizialmente hanno tentato di arginare Limbaugh: «E’ solo un intrattenitore», secondo Steele. «E’ facile spararle grosse per lui, non deve preoccuparsi di quel che è meglio per il paese», ha detto il deputato repubblicano Gingrey. «Chiunque auspichi il fallimento di Obama è un idiota», ha tagliato corto Sanford, governatore repubblicano del South Carolina. Bene, no? No, perché tutti e tre – spaventati da chissà cosa – hanno poi fatto rapidamente marcia indietro rivolgendo a Limbaugh le loro più sentite scuse. I democratici ovviamente si sono tuffati su questa storia e consci dell’impopolarità di Limbaugh hanno cominciato a dipingerlo come il vero leader dei repubblicani. Oggi i democratici hanno messo sul loro sito addirittura un divertente generatore automatico di scuse a Rush Limbaugh, con tanto di accessorie prese per il culo ai repubblicani a lui subalterni. Intanto, ça va sans dire, l’approvazione degli elettori verso Barack Obama continua a essere altissima, e precipita l’opinione che gli americani hanno nei confronti dei membri repubblicani del congresso. Magari durante la crisi verrà un tempo in cui il populismo aiuterà a tirar su un po’ di consensi facili. Quel tempo però non è oggi.
Io credo che questa storia insegni qualcosa anche a noi, qui in Italia. Fate uno sforzo di immaginazione e sostituite a Rush Limbaugh uno dei tanti tribuni populisti nostrani, a cominciare da Beppe Grillo o Antonio Di Pietro. Si tratta, esattamente come Limbaugh, di personaggi che trovano altissimo gradimento – altissimo ai limiti della religiosità – in una parte estremamente ridotta della popolazione, mentre per una grandissima e trasversale maggioranza del paese si tratta di semplicemente di demagoghi buoni a fare i comici d’avanspettacolo e non i politici. Il gioco degli avversari in questi casi è semplice, ed è lo stesso messo in piedi dai democratici americani: dipingere il tribuno di turno come il leader dello schieramento avversario, sapendo che questo danneggerà enormemente i suoi consensi. Nello schieramento opposto inizieranno quindi le scintille tra l’estrema minoranza di devoti al tribuno convinta che se tutti facessero come il suo idolo tutti verrebbero dalla sua parte (perché non lo fanno già ora?, uno si chiede) e le persone ragionevoli che sanno bene che il populismo può riuscire a stento a rubare per una porzione di tempo limitata – e solo alla propria parte, peraltro – una qualche percentuale di voto di protesta. Le persone ragionevoli hanno due possibilità: blandire la frangia populista, cercare di tenersela buona, accusarla al più di non avere modi abbastanza congrui; oppure attaccarla, isolarla, denunciarla, canzonarla.
La prima è la strada della subalternità, che vorrebbe tenersi i voti dei populisti e si fa ingannare dai loro fisiologici e momentanei exploit, non rendendosi conto che l’indecisione perpetua l’emorragia e che gli unici a perdere voti sono loro, e mai gli avversari – il Pd, e mai Berlusconi. E’ la strada che rischia di imboccare il partito repubblicano americano, a tutto vantaggio dei democratici: Limbaugh sembrerà essere sempre più apprezzato dai repubblicani, mentre i democratici guadagneranno consensi su consensi; è la strada che ha seguito in questi mesi il partito democratico italiano nel suo rapporto con l’Italia dei Valori, a tutto vantaggio del centrodestra, al quale ovviamente l’Idv non ha mai rubato un voto (basterebbe questo a smentire conclamatamente ogni pretenzioso «solo così si vince!» dei manettari).
La seconda strada è quella dell’autonomia e della chiarezza. Non bisogna avere alcun timore di dire che il problema di Antonio Di Pietro e Beppe Grillo non è la mancanza di buone maniere. Lo scarto tra loro e il Pd non è la buona educazione: chi chiede al Pd di dire le loro cose ma in modo più educato e civile è parte del problema. Il motivo più importante per cui il Pd dovrebbe starne il più lontano possibile non è nemmeno la loro cultura intrinsecamente di destra, il loro securitarismo, la loro totale inconsistenza programmatica, il loro fare appello ai peggiori sentimenti dell’elettorato (la cosiddetta e mai abbastanza vituperata «pancia»), il loro conservatorismo nei diritti sociali e civili o il loro culto del leader. Il motivo fondamentale è che Antonio Di Pietro e Beppe Grillo si augurano che Berlusconi fallisca. Non lo diranno mai, ma ci sono poche cose altrettanto evidenti: l’Italia dei Valori si augura che Berlusconi governi male – esattamente come Limbaugh con Obama, e in Italia come in Usa le persone sanno distinguere una persona interessata al bene comune da una persona interessata al bene del suo partito e all’avere ragione a tutti i costi. Sperare – ho detto sperare, non credere – che il governo Berlusconi faccia il bene del paese non vuol dire fare un’opposizione morbida, tutt’altro: vuol dire fare un’opposizione concreta e incalzante, come quella che il Pd non ha fatto in questi dieci mesi e ha tentato timidamente di fare negli ultimi giorni. Vuol dire una cosa semplice: avere a cuore gli interessi delle persone, presupposto fondamentale per chiunque voglia candidarsi alla guida di un governo e desidera che gli elettori lo ritengano adeguatamente preparato all’incarico.