Buttarsi a sinistra con Franceschini
E’ stata una settimana, diciamo, turbolenta. L’assemblea costituente di sabato ha incoronato segretario Dario Franceschini, in seguito a una larghissima intesa che ha lasciato fuori dalla stanza dei bottoni solamente i parisiani e qualche reprobo veltroniano. Si riparte quindi all’insegna dell’unità e dell’unanimismo più ferreo, sperando che questo possa bastare ad arrivare alle europee cercando in tutti i modi di limitare i danni, per poter poi rimettere insieme i cocci durante il congresso che si celebrerà in autunno.
Piero Fassino aveva ammonito, nel corso del suo intervento di sabato: «Oggi noi non eleggiamo un reggente: oggi noi eleggiamo un segretario». Un segretario vero, per non dare al paese l’impressione che il Pd passi nove mesi con un commissario e per permettere a Franceschini di avere un qualche carisma in più da mettere sul tavolo delle trattative coi territori al momento di formare le liste per le elezioni europee. Un’investitura che permette a Franceschini anche un qualche margine di manovra sullo scacchiere del Pd. La nuova segreteria, infatti, è un mix interessante di giovani di belle speranze e amministratori locali, ma è tutto da vedere l’effettivo peso decisionale che avrà davanti alla possibile ricomparsa dei caminetti: quei meeting informali tra i principali maggiorenti del Pd che Veltroni decise di istituzionalizzare nominandoli nel coordinamento del Pd. Alle nomine della segreteria seguiranno poi tra breve le nomine alle aree tematiche, e lì dovrebbero tornar fuori i nomi dei big: si parla di Bersani all’economia, Fassino agli esteri, Garavaglia all’istruzione, eccetera. Figure incaricate di marcare stretta la maggioranza sui temi di governo liberandosi però di quello sfigatissimo appellativo di “ministro-ombra“.
Per essere un segretario vero e non perdere troppi pezzi da qui al congresso a Franceschini serve un tassello fondamentale: il sostegno della base. Una base che oggi tra mille comprensibili malumori ha due esigenze fondamentali, tra loro connesse: vuole qualcuno che prenda decisioni per tutti costruendo una linea politica chiara, vuole qualcuno che non abdichi del tutto le ragioni della sinistra alla minoranza centrista del partito. Il neosegretario del Pd lo sa e per questo motivo – per quanto sia il più classico dei popolari – sabato ha fatto un discorso ricco di spunti interessanti per gli ex-Ds: la forza di un certo spirito decisionista, i messaggi inviati a capi e capetti («Non venite a chiedermi niente, non bussate alla mia porta»), gli inviti a tenere litigi e discussioni lontani dalle telecamere. E poi i riferimenti alla laicità dello Stato, alla lotta all’evasione fiscale, ai tentativi autocratici di Berlusconi. Per non parlare del giuramento sulla Costituzione: se il termine non fosse passato di moda, oggi la definiremmo una veltronata.
Franceschini darà il massimo perché il Pd non subisca un tracollo tra europee e amministrative: d’altra parte, è quello che gli è stato chiesto. Non è chiaro però quali siano le sue reali intenzioni in vista del congresso, anche perché molto dipenderà dagli stessi risultati elettorali. Con ogni probabilità il Pd sarà travolto, la segreteria Franceschini sarà frettolosamente archiviata e il rischio, semmai, è che in tanti se la prendano col candidato Pierluigi Bersani per aver lasciato il partito in queste secche in prossimità di una sconfitta così bruciante. Se invece però il Pd dovesse tenere, se – per assurdo – Franceschini dovesse prendere il 30% alle europee, allora sarà difficile schiodare l’ex-popolare dalla poltrona di segretario. Bersani gode sì del favore della base, ma l’elettorato ex-diessino ha imparato da tempo che spesso per vincere possono essere utili candidati lontani dalla loro cultura (mai sentito parlare di Romano Prodi?) e che i loro leader sono troppo impegnati a farsi la guerra tra loro per elaborare una leadership netta e definita. Per di più, in questo momento Franceschini sembra intenzionato a dare all’ala sinistra del partito maggiori garanzie di quelle date a suo tempo da Veltroni, specie sul ruolo e nella valorizzazione delle istanze del territorio. Bisogna vedere se Franceschini riuscirà a non strozzarsi con la morsa delle mediazioni e degli interessi contrapposti tra le forze che lo sostengono. «E’ finita la fase dell’uomo solo al comando», dice qualcuno soddisfatto nelle stanze del Pd. Ma era mai iniziata?