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Cos’è successo ieri

La notte prima dell’assemblea costituente avevo descritto il campo da gioco, gli schieramenti e gli orientamenti. Sulla base di quella situazione avevamo elaborato un piccolo piano – ci arrivo dopo – per tentare di sparigliare le carte, discutere di qualcosa e uscire dal rigido schema della festosa kermesse, che poi invece è quello che si è puntualmente verificato. Arrivati all’assemblea, però, avremmo scoperto quasi subito che nella notte erano cambiate due cose non indifferenti, rispetto allo schema della sera prima.

La prima cosa è che buona parte dei veltroniani aveva stretto un accordo sulla candidatura Franceschini e gli altri avevano deciso di non rompere le scatole, lasciando così al solo Parisi – già compromesso, davanti agli elettori e ai costituenti, grazie alle sceneggiate delle altre volte – la bandiera delle primarie subito. Lo abbiamo capito quando, scorrendo la lista dei cinque interventi a favore delle primarie, abbiamo visto sparire il nome di Stefano Ceccanti, inizialmente previsto e col quale invece la sera prima ci eravamo sentiti più e più volte. «Non possiamo lasciare questa battaglia a Parisi». Parola di Stefano Ceccanti, ore 22: era lui, di fatto, l’organizzatore del fronte anti-Franceschini. Il giorno dopo al suo posto ha parlato Rognoni, probabilmente desideroso di prendersi una vendetta contro chi non lo ha riconfermato nel cda Rai. Allo stesso modo, la mattina abbiamo visto il nome del veltronianissimo Ermete Realacci saltar dentro i cinque oratori pro-Franceschini. L’accordo era stato stretto, all’insegna del solito mantra: non spaccare il partito. Inutile dire che un dissenso dei veltroniani avrebbe reso tutto molto più fluido e forse avrebbe spinto i costituenti ad avere un po’ di coraggio in più. Così, invece, chi si metteva fuori dalla scelta di Franceschini si metteva fuori da tutto, e l’assemblea di ieri – ci arrivo dopo – era innanzitutto un’assemblea di funzionari di partito ed eletti a tutti i livelli.

La seconda cosa diversa da come ci aspettavamo era l’umore dell’assemblea. Eravamo tutti convinti di trovare un dissenso forte, nei confronti dell’attuale dirigenza e della soluzione Franceschini. Non avevamo questa convinzione sulla base dell’esplorazione del nostro «demi-monde» – per dirla come quello lì – per quanto quel «demi-monde» diventa ogni giorno più largo e rappresentativo e bisognerà anche riconoscergli il suo peso, un giorno. Lo eravamo sulla base delle cose che avevamo ascoltato da parte di decine e decine di persone iscritte al partito, dai cosiddetti militanti. Sulla base delle cose che al forum si erano detti parlamentari e iscritti, dalemiani e veltroniani. Io personalmente lo ero anche sulla base dei diecimila commenti arrivati al sito dell’Unità che mi ero letto quasi uno per uno: commenti scritti non dal “popolo della rete”, non dai grillini o dai dipietristi, bensì da persone che spesso non hanno nemmeno un indirizzo email, da abbonati al giornale, da gente con vent’anni di tessera. Aveste provato voi a fare un test, e aveste chiamato la sera dell’assemblea venti persone a caso iscritte al partito, cosa vi avrebbero detto? Viva Franceschini? No. Lo dicevano anche i sondaggi: non quelli inutili dove voti dieci volte ma quelli fatti seriamente. Lo dicevano tutti i giornalisti e gli editorialisti del paese, da quelli più schierati a difesa dell’apparato ai noti battitori liberi. Lo dicevano tutti, invece non era così. Ci eravamo dimenticati del tutto delle modalità con cui fu eletta quell’assemblea, con le liste bloccate redatte da Goffredo Bettini e pochi altri maggiorenti. Ci eravamo dimenticati del fatto che l’assemblea costituente rappresentasse – tra gli altri – anche tutti gli eletti del partito: parlamentari, consiglieri regionali, consiglieri comunali, eccetera. Chi si sarebbe catapultato a Roma convocato appena due giorni prima? Chi avrebbe voluto, chi avrebbe potuto? Sono arrivati in 1200 sui 2800 totali, ed erano in assoluto la platea più disciplinata e narcotizzata che io abbia mai visto. Nessuno ha mai storto il naso, nemmeno quando l’ineffabile Realacci ha detto che «alla gente le primarie non piacciono, mia mamma non le vuole». Nemmeno quando la Finocchiaro si è proclamata «orgogliosa delle nostre diversità», nel giorno in cui erano tutti blindatamente compatti. Nemmeno quando Rosy Bindi ha motivato acrobaticamente il suo appoggio alla soluzione Franceschini. Nemmeno quando Franceschini ha detto «c’è ottimismo, oggi è un giorno nuovo». Applausi scroscianti a ogni riferimento alla solita sbobba, al lavorare pancia a terra, a stare uniti. Applausi scroscianti per ogni plauso a Walter Veltroni, applausi scroscianti per ogni critica a Walter Veltroni.

Il piano prevedeva che in caso di elezione immediata del segretario, avremmo tentato di trovare un buon candidato che sparigliasse le carte, sul quale far convergere i voti dei delusi – che immaginavamo essere parecchi. In assenza di un buon candidato, ci saremmo accontentati di un candidato qualsiasi, di bandiera. Per dare gambe a questa possibilità servivano tre cose: un fronte fluido, un’assemblea scontenta e – da parte nostra – la partita perfetta. Le prime due cose sono sparite dalla sera alla mattina, la terza non l’abbiamo fatta. Se c’era una possibilità di scalfire quel moloch, questa era attraverso cinque interventi magnifici ed esaltanti, che rassicurassero la platea sull’assenza di rischi nel fare le primarie e puntassero il dito contro una soluzione ancora più fintamente unanime di quella che incoronò Veltroni. Di fatto, l’unico a fare un intervento degno di questo nome è stato Gad Lerner. Parisi avrebbe fatto meglio a non parlare e lasciare il timone ad altri, ma il suo fine era soprattutto mettere una bandierina. Rognoni è stato pessimo, noioso e inconcludente. Paola Concia, con la quale erano state concordate tutte le tappe del piano e che sarebbe stata la nostra eventuale candidata, ha fatto un discorso energico ma improvvisato ed eccessivamente umorale. Due errori, quindi: non scegliere oratori migliori e non aver preparato un buon discorso all’eventuale candidata. Due errori gravi e fondamentali.

Un buon discorso avrebbe fatto la differenza? Probabilmente no. Ma avrebbe fatto qualcosa. Forse avrebbe scosso la base. Forse avrebbe inchiodato la dirigenza ad alcune responsabilità. Avrebbe, soprattutto, smascherato alcuni dei mille alibi dietro i quali si nascondeva chi non voleva fare le primarie. Avrebbe chiesto conto a Cuordileone Bersani del suo comportamento scriteriato. Avrebbe svergognato in tre frasi tre quell’unanimismo terribile, peggiore di quello che ha condannato Veltroni. E avrebbe attirato applausi e visibilità mediatica, che contano e servono. Non è andata così.

Si è votato quindi per decidere se eleggere subito il segretario o iniziare il percorso per le primarie. Su 1200 votanti, 1000 erano per il segretario, quindi per Franceschini. Abbiamo capito che ci saremmo dovuti cercare quelle cento firme nei rimanenti 200, e tra quei 200 c’erano i parisiani che avevano anche loro grande difficoltà a trovare le firme e soprattutto non avevano alcuna intenzione di unire le forze e convergere su un candidato esterno alla loro componente organizzata. Abbiamo raccolto un po’ di firme ma abbiamo capito che non saremmo riusciti ad arrivare a cento. Il piano era fallito. Mentre i parisiani faticavano ancora – qualcuno sospetta (ma è solo una voce) che non abbiano mai raggiunto le cento firme, le loro firme sono state raccolte da Franceschini, pur di evitare uno spettacolo sovietico – è saltata fuori a un certo punto l’ipotesi di una candidatura di Francesco Boccia, in aperta rottura con la disciplinata obbedienza dei lettiani. Ma è svanita subito anche questa. Di fatto una candidatura terza era impossibile.

Ultimate le candidature ha parlato Franceschini, che ha finito praticamente a ora di pranzo. Alla fine del suo discorso la Finocchiaro ha salutato tutti, ha ricordato gli orari in cui erano aperte le urne e poi, mentre tutti andavano a mangiare, ha dato la parola a Parisi, che ha parlato nel caos generale. Sono seguiti gli interventi estemporanei di una serie di mezze figure: alcuni decenti, altri veramente penosi. Ha parlato Cuperlo, deludendo. Ha parlato Luca Spadaro, che era il capo della sinistra giovanile di Catania quando vivevo lì. Ha parlato uno che ha detto che il Pd è «la terza fase morotea». Cuordileone Bersani ovviamente se l’è fatta alla larga.

Poi si sono contate le schede. Come avevamo previsto, di fatto hanno votato per Franceschini tutti coloro che volevano il segretario subito. Dei duecento che volevano le primarie, solo 92 voti per Parisi (meno delle firme teoricamente raccolte, e vi garantisco che quelli per Franceschini non firmavano manco morti). Più di cento astensioni, che la Finocchiaro non si è nemmeno degnata di citare, ché fa comodo a tutti metterla sul «tuttiuniti vs Parisi». Invece c’eravamo anche noi, che alla fine non avevamo alcuna intenzione di votare né l’uno né l’altro.

Tutti contenti. Il partito riparte, Walter aveva ragione, siamo uniti. Ma cos’avevamo sbagliato, allora? Se era un problema di linea, perché eleggere il vice di Veltroni? Se il problema era l’unanimismo di facciata, perché chiudersi dietro uno ancora peggiore e più largo? Se Franceschini non sarà un commissario fino a ottobre, perché lo sfidante Bersani gli ha lasciato la platea? Eccetera. A parte un gruppetto di fulminati, ieri queste domande all’assemblea non interessavano. Franceschini giurerà sulla Costituzione: tutti in piedi ad applaudire. Abbiamo risolto i nostri problemi.