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Dove si vota a febbraio

Gli appuntamenti elettorali di febbraio sono sei e tre di questi cadono domenica prossima.

Si voterà infatti per eleggere il parlamento del Turkmenistan. La cosa divertente è che la repubblica ex-sovietica ha un sistema elettorale a dir poco bizzarro, a seguito delle riforme costituzionali di questo settembre. L’elezione è stata di fatto spezzata in tre round: il primo ha avuto luogo il 14 dicembre 2007, il secondo il 28 dicembre 2007, il terzo sarà proprio domenica 8 febbraio. Si tratta delle prime elezioni libere con più di un partito dalla morte Saparmurat Niyazov, nominatosi presidente a vita quando il Turkmenistan era ancora una repubblica sovietica.

Sempre l’8 febbraio si vota per il parlamento del Liechtenstein. Il Liechtenstein ha qualche primato, in Europa. Il suo parlamento è piccolissimo, con appena 25 seggi, ed è uno dei più a destra dell’intera europa: la destra ha 22 seggi, la sinistra 3. Difficile che accadano grossi stravolgimenti.

In Svizzera invece domenica si vota per un referendum piuttosto delicato. Si tratta di un referendum proposto dai partiti di centrodestra, il cui oggetto è il rinnovo degli accordi con l’Ue sulla libertà di movimento delle persone e delle merci nell’Unione, e l’estensione di questi principi a Bulgaria e Romania, neo-entrate nell’Ue. Le forze politiche che hanno proposto il referendum spingono perché l’accordo sia rigettato, lavoro svizzero per lavoratori svizzeri e così via. Dovessero davvero vincere i no, però, la Svizzera si imbatterebbe nella cosiddetta “clausola ghigliottina”: stracciando l’accordo sulla libertà di movimento, infatti, si annullano a cascata tutti gli altri accordi bilaterali, compresi quelli su Schengen, la fiscalità del risparmio, eccetera. Un salto indietro nel tempo spaventoso e prevedibilmente catastrofico, dati i tempi di crisi, tant’è che istituzioni e imprenditori sono compatti nel chiedere il sì ai propri concittadini. Il clima di insicurezza e il populismo delle forze di destra però sta sostenendo non poco la causa del no, e gli ultimi sondaggi danno i due fronti praticamente testa a testa.

Il 10 invece si vota in Israele, per quello che è certamente l’appuntamento elettorale più atteso di questo mese. Il sistema è proporzionale con sbarramento al 2% e i governi si formano in parlamento: non esiste obbligo di dichiarare preventivamente alleanze e candidati premier. E’ naturale però che i leader dei partiti più grandi siano a loro volta i candidati alla presidenza, e i due principali contendenti sono Tzipi Livni, di Kadima, oggi ministro degli esteri del governo Olmert, e Benjamin Netanyahu, già (disastroso) primo ministro dal 1996 al 1999. Gli ultimi sondaggi dicono che una coalizione Labour-Kadima avrebbe più o meno lo stesso numero di seggi di un’alleanza tra il Likud e gli estremisti di destra del Yisrael Beiteinu: ci sono però tantissimi partitini da quattro o cinque seggi (per lo più ortodossi) che potrebbero fare la differenza. E poi c’è l’effetto Gaza, di cui tutti parlano ma da cui nessuno sa di preciso cosa aspettarsi.

Il 15 febbraio si vota per un referendum in Venezuela: Chávez ci riprova. Nonostante quel che dicono i quotidiani italiani, infatti, la notizia non è che Chávez abolisce san Valentino bensì che stia tentando (dopo la prima sonora bocciatura e le proteste degli studenti) di abrogare tutte le norme costituzionali che pongono un tetto massimo al numero dei mandati possibili per il capo del governo, i governatori e i sindaci. Si tratta di un provvedimento inedito in qualsiasi paese democratico e rappresenta in qualche modo l’anticamera verso la realizzazione di una pericolosa autocrazia. I sondaggi sono parecchio contraddittori, il risultato è in bilico.

L’ultimo appuntamento elettorale di febbraio è fissato per giorno 16: elezioni presidenziali in Bangladesh. Si tratta di un’elezione indiretta, le elezioni parlamentari dello scorso dicembre hanno visto la vittoria a valanga dell’Awami League, partito laico e liberale: a meno di sorprese, l’ottantenne Zillu Rahman sarà eletto capo dello stato.