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Non è un mestiere per vecchi

A proposito della categoria “ma dove sono questi giovani?”. A volte sono già in parlamento, per dire. Federica Mogherini sulla riforma elettorale e le elezioni europee:

Chiediamoci perché non ci sono italiani ai vertici del Parlamento Europeo. Chiediamoci perché il lavoro del Parlamento Europeo e dei nostri rappresentanti lì sia ai più oscuro. Chiediamoci perché 40 parlamentari europei italiani nella corrente legislatura si siano dimessi nel corso del mandato. Bene, io credo che buona parte dei motivi siano riconducibili alla nostra legge elettorale. E credo che l’introduzione di una soglia possa aiutare (almeno su alcuni aspetti).
Personalmente, ero e resto convinta che, per le elezioni europee, il sistema delle preferenze non sia il migliore. So bene che in un panorama come quello italiano, in cui l’elettore non ha modo di determinare alcuna scelta sugli eletti al Parlamento nazionale – che vengono di fatto nominati dalle segreterie di partito o dal solo segretario -, le preferenze alle europee costituiscono quella finestra di democrazia minima senza la quale la partecipazione all’esercizio del voto diventa quasi un vuoto rituale. Lo so, ed è il motivo per cui ho sostenuto la scelta del mio partito e del gruppo. Però credo sia sensato riflettere sul fatto che questo è perché in Italia viviamo un deficit di relazione tra eletto ed elettore che rende tutto grigio, senza darci la libertà di capire le differenze tra un tipo di elezione e l’altra. Non è un caso, se nessun altro paese elegge i propri parlamentari europei senza preferenze. Il punto è che il lavoro a Bruxelles è spesso oscuro, un po’ tecnico, fisicamente “lontano”. Richiede costanza, dedizione, una profonda vocazione europeista, e la rinuncia alla “visibilita'” che a volte sembra essere la droga della politica. Richiede energia – anche solo per spostarsi tra l’Italia, Bruxelles, Strasburgo -, ed uno spirito aperto al confronto anche interculturale. D’altra parte, prendere le preferenze necessarie per essere eletti, in circoscrizioni ampie come quelle attualmente previste in Italia, richiede una notorietà che prescinde dal “rapporto col territorio”, e che in un paese come l’Italia si raggiunge ad un certo punto – piuttosto avanzato – della “carriera” politica. Si candida chi può prenderle, tutte quelle preferenze. E chi può prenderle, in genere – con le encomiabili eccezioni -, non ha alcuna voglia di fare davvero, sul serio, il lavoro per cui è stato eletto. E dunque rientra in Italia nel giro di pochi mesi, o anni, a fare altro. Quanti di quelli che avete votato l’ultima volta sono ancora là? Oppure, se ha una certa disciplina, serietà e vocazione europeista, lo svolge come una sorta di “pensionamento” – utile, ma privo di prospettive di medio termine. Gli altri paesi hanno un “personale politico” europeo, dedicato a quel lavoro – anche se non in via esclusiva, ma prevalente -, spesso giovane e quindi con la possibilità di crescere in quel contesto, conoscerne le dinamiche e lavorare a progetti di lungo periodo. Noi siamo spesso turisti, nelle istituzioni europei. Le visitiamo, ci passiamo – ma quanti hanno il tempo, gli strumenti, la motivazione e la continuità necessaria per lavorarci davvero, con serietà e coerenza, diventandone attori credibili e riconosciuti? Non credo siano valutazioni irrilevanti – se solo si prende come punto di vista il lavoro da fare nel Parlamento Europeo, e non le dinamiche politico-partitiche nazionali, i tatticismi, le alleanze addirittura locali, i 2 o 3 punti percentuali in più o in meno per questa o l’altra forza politica.
Invece, purtroppo discutiamo di questo – preferenze, soglia di ingresso – e pensiamo ad altro: sopravvivenza economica di alcuni partiti, per i quali quella europea è l’ultima istanza utile per ottenere finanziamenti che sono ossigeno vitale (ma allora parliamo di finanziamento pubblico ai partiti, e non di rimborsi elettorali – saremmo più trasparenti, più coerenti); alleanze locali o nazionali da privilegiare (a sinistra piuttosto che al centro); il sistema politico nel suo complesso, la legge elettorale nazionale, il referendum; o addirittura il PD (ci avvantaggia, ci danneggia) – come se le riforme non si facessero per il paese ma per se stessi, esattamente come accusiamo qualcuno di fare…