Il diritto alla poltrona
Primo. Il costume tutto italiano per cui le leggi elettorali si modificano secondo le contingenze partitiche del momento è schifoso come poche altre cose e dovremmo dirlo più spesso. Le leggi elettorali dovrebbero cambiarsi con l’unico obiettivo di trovare un compromesso tra rappresentanza e governabilità che sia migliorativo di quello esistente: fine. Sperare che possa essere il Parlamento – oggi, domani o dopodomani – a produrre una legge elettorale per il nostro paese che sia sensata, moderna, equilibrata ed efficiente (leggasi: maggioritario a doppio turno, collegi uninominali, primarie di collegio) diventa ogni giorno più inutile. Per quel che riguarda il Parlamento europeo, la soluzione più giusta sarebbe certamente una legge elettorale unica per il tutta l’unione.
Secondo. Nessuno che abbia un minimo di onestà e obiettività potrebbe sostenere che sia sempre sbagliato apportare qualsiasi modifica a una legge elettorale a quattro mesi dal voto. Sarebbe bene eliminare le liste bloccate a quattro mesi dalle prossime politiche? Certo che sì. Dovessimo avere uno sbarramento al 10%, sarebbe bene eliminarlo o ridurlo a quattro mesi dal voto? Certo che sì. Il punto quindi è il merito delle modifiche: la creazione di uno sbarramento non è equivalente a una sua eliminazione. E l’inserimento di uno sbarramento – per quanto basso com’è il 4%: ci arrivo subito – è una di quelle cose che andrebbe fatta col maggior preavviso possibile, proprio a tutela delle forze politiche che dovrebbero misurarsi con la sfida dell’asticella. Da qui a sostenere che il problema di Ferrero, Diliberto e Mastella sia lo scarso preavviso, ne passa. Facciamo così: pensiamoci adesso e mettiamo uno sbarramento al 5% in vista delle politiche del 2011. Credete che sarebbero d’accordo?
Terzo. Fatte queste dovute e sacrosante premesse, sostenere che uno sbarramento al 3% sia un attentato alla democrazia e alla libertà dei cittadini e via dicendo è una scemenza. Lo sbarramento è un sistema in vigore in tantissimi paesi liberi e democratici, spesso addirittura al 5%. E’ vero che in parlamento europeo non si pone il problema della governabilità, ma è vero che si tratta pur sempre di un parlamento e non di un’assemblea costituente: un consesso che può tranquillamente fare a meno di Carlo Fatuzzo e del suo Partito Pensionati, di Gianni De Michelis, di Alessandra Mussolini e di Roberto Fiore. Almeno finché i loro partiti non riescono a farsi votare da qualcuno. Se i Verdi, l’Udeur, il Partito dei Comunisti Italiani e Rifondazione Comunista ritengono che il 4% sia per loro un obiettivo troppo impegnativo, si interroghino su cosa è successo ai loro voti da qualche anno a questa parte – Sinistra Democratica invece voti non ne ha mai persi, dato che non ne ha mai avuti.
Quarto. Nel Pd si discute e si litiga a proposito di qualsiasi scemenza, quindi figuriamoci se non si può litigare sulla riforma della legge elettorale. Ed è in qualche modo divertente che un partito dilaniato dalla frammentazione interna si preoccupi così tanto di dare una sistemata alla frammentazione esterna. Se è vero però che due settimane fa il “coordinamento allargato del partito” – non chiedetemi cos’è – aveva dato mandato a Veltroni di trattare col centrodestra sulla base di una riforma che comportasse il mantenimento delle preferenze e uno sbarramento al 3% o al 4%, com’è che ora gli stessi membri di quel coordinamento si dichiarano “perplessi” davanti alla possibilità di riforma? Una volta si aveva almeno il buon gusto di darle lontani dai giornalisti, le coltellate alle spalle.