Sono solo canzonette
Mi sembra che si stia facendo un po’ di confusione a proposito della libertà d’opinione, che è anche libertà di sostenere un’opinione scema, falsa, ridicola o razzista. Lo dico perché mi sembra che tanti di quelli che se la prendono con Alessandra Mussolini perché vuol proibire che Gino Paoli canti la sua canzone sulla pedofilia, accoglierebbero poi con favore la decisione di una qualsiasi istituzione pubblica che proibisca a Povia di cantare la sua canzone sul fatto che l’omosessualità è una malattia e suo cuggino conosce uno che prima era frocio e poi è guarito.
Certo, penso che nessun professore pagato dallo Stato debba poter sostenere che le camere a gas non sono mai esistite, che il Sole gira intorno alla Terra, che i froci sono malati e che i pedofili sono teneri bambinoni: non per una questione di moralità, però, bensì perché trovo inopportuno e sbagliato concedere il pulpito di una cattedra pubblica – con tutti i suoi significati – a scemenze false o mai provate. Ma nei testi delle canzoni, beh, nei testi delle canzoni ognuno scriva le cose che vuole, per quanto sceme o false possano essere. E le giurie di questo o quel festival decidano quali canzoni ammettere o no sulla base dei criteri che preferiscono. Se preferiscono il rumore mediatico alla qualità della canzone, affari loro: il pubblico li giudicherà anche per questo (infatti Sanremo fa ascolti a valanga, no?).
In generale, non credo si debba avere paura del fatto che la gente dica cose sceme o false o razziste in tv o sui giornali – e credo che questa paura la dica lunga sui bassifondi in cui siamo finiti. Quando si ha paura che si dica una cosa in tv perché si teme che attecchisca, è perché in realtà è già attecchita e si teme di averne conferma. E se quella cosa è attecchita, non è successo a causa delle cose sceme o razziste dette in tv. Non è stata la propaganda televisiva a convincere gli ignoranti e gli stupidi che l’omosessualità è una malattia. Così come non è stata la propaganda televisiva a convincere un pugno di cretini che Auschwitz non è mai esistito. Io non voglio vivere in un paese in cui esista il reato d’opinione, tanto meno per qualche canzonetta: e questo nemmeno se poi esistono giurie sprovvedute che le canzonette sceme le mandano in tv per sperare che il clamore supplisca alla totale assenza di qualità. Io non voterei né vorrei nel mio partito persone che dicano cose sceme, false, ridicole o razziste: ma non vorrei mai che Paola Binetti venisse perseguita dallo Stato per le cose che dice.
Ricapitolando, quindi. Penso che chiunque sostenga che i gay siano malati, sia ignorante o in malafede. Penso che chiunque pensi di portare una canzone scema a Sanremo pur di fare ascolti sia ridicolo. Penso che le giurie di questo o quel festival possano decidere di far cantare chi vogliono su qualsiasi palco, e penso che chiunque debba essere libero di cantare quel che gli pare, ovunque vuole. Penso che lo Stato debba astenersi dal valutare se questa o quella canzone (o film, o romanzo, o quadro, eccetera) possa essere o no diffusa al pubblico. Penso – e dico una banalità – che certe canzoni siano prima composte e poi scelte dalle giurie proprio nella speranza che arrivi lo stracciarsi delle vesti, e se invece venissero liquidate con due paroline – «Che cazzata» – forse a qualcuno passerebbe la voglia di scriverle. E alle giurie di presentarle. Lo so: è una banalità. Ma è la banalità che dimentichiamo sempre, quando uno dice una cazzata.