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Te lo do io, il cambiamento

Reduci dalla sbornia di giuramenti e concerti e balli e gran galà, non c’è niente di meglio della consueta dose settimanale di cronache dal Pd per rimettere i piedi per terra e vedere a che punto siamo. Sorpassiamo in un balzo il ripetersi delle sceneggiate post-election day, in cui ogni esponente del Pd aveva dato dimostrazione di vedere nella vittoria di Obama un particolare significato del tutto funzionale alla propria piccola posizione politica italiana: secondo il centrista Obama aveva sfondato al centro, secondo il nostalgico diessino aveva sfondato a sinistra; secondo lo statalista Obama aveva vinto perché aveva messo al centro lo stato, secondo il liberista perché rilanciava la trasparenza e la responsabilità individuale. Ci permettiamo solo di ricordare le parole di Giorgio Tonini, che sono un po’ la sintesi di tutto il resto e meritano per l’assoluta mancanza di senso del ridicolo: «La vittoria di Barack Obama rafforza la leadership di Veltroni». Ambé.

Detto questo, può essere interessante scoprire come il Partito Democratico italiano stia tentando di declinare quella vocazione al cambiamento che ha portato Barack Obama nello Studio Ovale. Perché se vogliamo che il vento americano arrivi a cambiare le cose in Italia bisognerà pure fare qualcosa per meritarselo, no? Certo che no. Nello stesso giorno del giuramento del 44simo presidente Usa, Walter Veltroni andava in Campania da Antonio Bassolino e gli diceva – con la decisione e la fermezza che contraddistinguono chi vuole cambiare le cose con risolutezza – che “si continua a governare la Regione a condizione che vi siano segnali di una forte innovazione“. Hai capito il Walter? E se queste innovazioni non ci saranno “si tireranno le conclusioni necessarie“. Chissà quali sono queste conclusioni, uno si chiede: richiesta immediata di dimissioni? Espulsione dal partito? Ritiro dell’appoggio alla giunta da parte del gruppo consiliare regionale? Eh, no: “L’idea che un partito possa dire cosa fare è un’idea che non corrisponde all’idea del Partito democratico“. L’idea invece che non si riesca in alcun modo a mollare il più grave fallimento politico del centrosinistra degli ultimi dieci anni e l’uomo che ne è artefice e simbolo invece sì, che corrisponde all’idea del Partito Democratico. Ce n’eravamo accorti.

Si dirà: Bassolino gode di una rendita di posizione, è molto radicato sul territorio (ma non era una cosa bella sempre, il radicamento sul territorio?), in fondo governa solo da quindici anni, diamogli tempo, eccetera. Uno pensa, quindi: dato che non si riesce proprio a smuovere gli eletti, chissà che gran casino si prepara sul fronte delle candidature alle elezioni europee! Questa volta è stato Piero Fassino a toccare il tema, approfittando della sua personale declinazione del comportamento del neo-presidente americano: “Obama non ha avuto paura di usare uomini nuovi ma anche vecchi, gente che stava con Bush. La formazione di una classe dirigente è qualcosa di più che un sondaggio su internet“. E lui – che ha dato ampia dimostrazione di avere con il ricambio della classe dirigente la stessa dimestichezza che ha con i sondaggi su internet, cioè zero – tutto questo lo sa bene. Anzi: lui e Obama lo sanno bene.

Intanto gli istituti demoscopici continuano a rilevare il cedimento del Partito Democratico nelle opinioni degli elettori. L’ultimo desolante sondaggio dava il più grande partito riformista italiano vicino alla quota del 23%, cioè dieci punti sotto le ultime politiche, cioè un paio di punti in più di quanto ottenuto dai soli Ds nel 1996. Davanti a uno scenario talmente penoso è normale che gli elettori si guardino intorno, e intorno c’è sempre lui: Antonio Di Pietro, anche lui a suo modo interprete della voglia di cambiare la politica. Una voglia di cambiare così prepotente che ha contagiato tutti anche nell’Idv, e qualcuno si è spinto anche oltre: Gilberto Casciani, capogruppo dell’Italia dei Valori al Comune di Roma, è passato in balzo al centrodestra, lasciando il suo gruppo consiliare (che ora quindi non esiste più) e sostenendo la giunta Alemanno. Questi sono i nostri alfieri del cambiamento: veri professionisti, specie finché parliamo di maschere, sigle, simboli e bandiere.

(su Giornalettismo, oggi)