Senza se e senza ma
Qualche giorno fa parlavo con Giovanni di quel che accade a Gaza, e riflettevo su quella cosa che viene data come assodata dalla maggior parte degli osservatori del conflitto in Medioriente, cioè che al di là del merito e delle responsabilità di Israele e Hamas, i bombardamenti sui civili non possono che portare i civili tra le braccia dei terroristi. Ho sempre avuto parecchi dubbi sull’inesorabilità di tale logica, peraltro applicata in contesti particolarmente diversi e spesso per il solo motivo di opporsi a qualsivoglia intervento militare.
Mi sono chiesto, quindi: l’equazione per cui a ogni bomba su Gaza corrisponda un nuovo martire per Hamas, è realmente così aritmetica? Mi sono chiesto se questa logica – propugnata con convinzione da tanti commentatori più o meno onesti – fosse applicabile altrove, mi sono chiesto cosa farei io, con tutti gli evidenti limiti che può avere un ragionamento del genere fatto sul divano di casa (fino a un certo punto, però, perché siamo sempre come decidiamo di essere). Si tratta di contesti diversi, lo so, però il punto è sulla logica: se fossi stato tedesco i bombardamenti americani su Berlino mi avrebbero fatto diventare nazista? Davvero la morte della mia famiglia sotto le bombe alleate nel 1943 mi avrebbe fatto arruolare nella Rsi? Ci ho pensato, ci ho pensato sul serio, e la risposta è no, non credo.
Credo che la tragedia della guerra possa alimentare spesso nelle popolazioni civili un surplus di riflessione e presa di coscienza, piuttosto che una rabbia cieca a ogni valutazione delle colpe e delle responsabilità. E penso che dove si riscontra questa rabbia cieca è spesso perché generata e montata da chi soffia sul fuoco della disperazione, da chi è interessato a cavalcare una furia folle e acritica per garantire la sopravvivenza sua e del suo potere. Penso pure che purtroppo dietro l’uso occidentale di questo argomento ci sia sovente lo stesso paternalismo razzista di chi sostiene che alcuni popoli non sarebbero pronti per leggi contro la violenza sulle donne, per andare a votare, per abolire i reati contro la religione. La logica per cui si allargano le braccia davanti a chi continua a sfornare martiri, davanti a chi avrebbe linciato Arafat se avesse firmato gli accordi di Taba, mentre avrebbe dovuto linciarlo (o, semplicemente, mollarlo) al suo ritorno a mani vuote. La logica per cui si ragiona per schieramenti e non sul merito, e davanti al merito si dica «Eh, ma bisogna capire questo e quello». Io capisco tutto, ma non sopporto le semplificazioni pelose e gli alibi forniti per giustificare comportamenti sbagliati come imbottirsi di esplosivo e farsi saltare in aria: non credo che sia in alcun modo “giustificabile” il fatto a un’ingiustizia si risponda con un’altra ingiustizia. Nello specifico, poi, credo ovviamente che questo valga tanto per i palestinesi quanto (forse di più) per Israele, tant’è che io in questa situazione e in questo momento non avrei attaccato Gaza.
Per questo motivo ho provato sollievo, oggi, quando ho visto questo video. No: la deriva per cui a ogni bomba corrisponde un martire e a ogni martire corrisponde una bomba, non è inesorabile. E se la smettessimo tutti di fornire giustificazioni e alibi a comportamenti ingiustificabili, se ci imponessimo davvero una moratoria dei se e dei ma, come voleva quello slogan obsoleto e abusato, le cose sarebbero un po’ più facili. Qui e lì.