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Novantacinque

Novantacinque. E’ questo il numero dei giornalisti uccisi nel 2008 durante l’esercizio della loro professione, secondo un rapporto diffuso da Press Emblem Campaign, associazione umanitaria indipendente con sede a Ginevra. I dati del consueto rapporto di fine anno confermano quindi per il 2008 un calo del numero dei giornalisti uccisi nell’esercizio della loro professione, che aveva toccato il picco massimo nel 2007, anno in cui si registrò la morte di 110 reporter.

Il paese in cui sono morti più operatori dell’informazione è anche quest’anno è l’Iraq: le vittime quest’anno sono ben quindici. Una cifra particolarmente elevata ma in qualche modo confortante, se se paragonata all’incredibile dato del 2007, quando ben cinquanta giornalisti trovarono la morte sul territorio iracheno. Sono 265 i giornalisti uccisi in Iraq dall’inizio della guerra, e sebbene la situazione sembri oggi in via di stabilizzazione, il territorio iracheno si conferma per il sesto anno consecutivo il paese più pericoloso per i giornalisti.

Proseguendo in questa macabra classifica, dietro il paese iracheno troviamo il Messico, con ben 9 giornalisti uccisi. Il dato è insolito, visto che solitamente i paesi che registrano più giornalisti morti sui loro territori sono paesi coinvolti in conflitti armati, e ci dice molto sull’attuale situazione del paese centroamericano. In Messico non c’è nessuna guerra in corso, ma il paese è di fatto in mano ai narcotrafficanti: da mesi è ricominciata l’orrenda pratica delle decapitazioni da parte dei cartelli della droga, il turismo è a un passo del tracollo e l’economia è in una recessione spaventosa. Il tutto mentre il livello di corruzione della cosa pubblica è giunto a livelli mai visti prima: a novembre il ministro degli interni è morto in circostanze misteriose mentre il 12 dicembre il capo dell’agenzia per la lotta al narcotraffico è stato arrestato perché sorpreso, insieme al capo dell’Interpol, a passare informazioni riservate ai più importanti cartelli della droga. In uno scenario così torbido e disgraziato, non stupisce riscontrare il massiccio ricorso alla violenza per far tacere questo o quel giornalista.

Un’altra area notoriamente calda è quella tra India e Pakistan, e infatti i giornalisti uccisi in quell’area sono ben quindici, otto in Pakistan e sette in India. Seguono le Filippine (dove gli scontri tra il governo e i separatisti islamici continuano a mietere vittime anche tra i reporter, sei solo quest’anno), la Georgia con 5 vittime e la Russia con 4, triste lascito di quel che accadde durante l’estate, quando carri armati russi l’esercito russo invase il territorio georgiano dell’Ossezia del Sud bombardando le città di Gori.

Questo il bilancio delle vittime, bilancio che non tiene conto delle intimidazioni, delle minacce, delle censure e delle umiliazioni che giornalisti e reporter devono subire quotidianamente in decine di paesi del mondo. Sono 140, secondo Reporters sans frontières, i giornalisti incarcerati lungo quest’anno, mentre sono ben 69 i blogger che hanno pagato con la propria libertà l’aver pubblicato su internet informazioni e opinioni scomode. Numeri inquietanti che raccontano della guerra per la libertà e la verità che combattono ogni giorno i giornalisti impegnati in quelle aree del mondo martoriate dalla repressione e dalla dittatura: una guerra senza fine che ogni anno ci presenta il triste e macabro conto delle sue vittime.

(per l’Unità)