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Facciamoci del male

Noi volevamo vincere le elezioni politiche, ovviamente. Le abbiamo perse per negligenza, per sfortuna, per responsabilità di chi ci aveva preceduto al governo, e siam finiti nei casini. Ma noi volevamo vincerle, le elezioni. Non ci rimaneva quindi che cercare di sfondare con le europee, ma gli ultimi sondaggi dicono che ci sarà da raccogliere i cocci, probabilmente. Ma volevamo sfondare: garantito. Certo, ci sono le amministrative, città, province e regioni da strappare alla destra. Dite che non ce la facciamo? Vorrà dire che cercheremo almeno di confermarci lì dove siamo più forti. A Bologna? Oddio, a Bologna, lo scorso sindaco era di centrodestra, quello attuale ha perso l’appoggio della sinistra, ora abbiamo delle primarie parecchio confuse… allora Firenze! Firenze, la Toscana, l’Arno: se non vinciamo lì, beh, dove? Eh? Rischiamo di perdere anche Firenze? E come è possibile? Te lo spiego io, com’è possibile.

NELLE PUNTATE PRECEDENTI – E’ inutile persino tentare di fare il conto degli anni e dei mandati: a Firenze si governa praticamente da sempre. L’attuale sindaco, Leonardo Domenici, lascia senza troppi rimpianti, non tanto per le polemiche e le sceneggiate degli ultimi giorni quanto per un deficit di presenza e attenzione ai problemi della città: i maligni sostengono che la presidenza dell’Anci lo abbia portato a passare più tempo a Roma piuttosto che a Firenze, ma sono, per l’appunto, maligni. Qualche mese fa, in applicazione delle norme contenute nello statuto regionale, il Pd decide che il suo candidato alla poltrona di sindaco sarà scelto tramite elezioni primarie. All’appello rispondono in quattro. Lapo Pistelli, ex-democristiano di rito veltroniano, 44 anni, europarlamentare. Daniela Lastri, ex-diessina di rito dalemiano, 50 anni, assessore comunale di lungo corso. Matteo Renzi, ex-popolare di rito rutelliano, 33 anni, attuale presidente della provincia di Firenze. Graziano Cioni, 61 anni, ex-diessino e assessore comunale in maniera praticamente ininterrotta sin dalla fine degli anni Settanta. Il tutto senza un candidato che goda dell’appoggio ufficiale del partito, insomma: una volta tanto, una gara vera. Infatti dentro il partito in tanti iniziano a provare qualche imbarazzo: appoggio qualcuno o no? Aspetto o no? E se appoggio il candidato sbagliato? E se aspetto troppo? Con chi schierarsi? Domande che mettono nervosismo a molti, e qualcuno inizia a guardare con insofferenza a questi quattro candidati col partito in pugno.

PATATRAC – A un certo punto succede – in breve – che Cioni viene indagato per concorso in corruzione, e succede il finimondo: chi gli chiede di dimettersi dall’assessorato, chi vuole che lasci la corsa alle primarie, il tutto mentre torna fuori per l’ennesima volta il tema della questione morale. I vertici del Pd toscano – il segretario cittadino Billi, il segretario metropolitano Barducci e il segretario regionale Manciulli – sono nel pallone, e da Roma iniziano ad arrivare dei messaggi poco rassicuranti e delle voci di corridoio che lo sono ancora meno: queste primarie iniziano a diventare un problema. Giorni di tira e molla, dichiarazioni e smentite fino ad arrivare a oggi e al pellegrinaggio romano dei tre segretari fiorentini per incontrare Veltroni e decidere il da farsi. Al termine del conclave, la decisione: si disputeranno delle primarie di coalizione. Cosa cambia? Cambia che i candidati del Pd potrebbero essere soltanto due, invece che quattro. Pistelli ha parlato di «soluzione di maggiore buon senso», Lastri si dichiara «d’accordo con la scelta di fare primarie di coalizione», secondo Cioni «fare le primarie di coalizione è una cosa positiva». Renzi ha «come la vagasensazione che qualcuno voglia farmi fuori dalle primarie». Indovinate chi l’ha presa peggio.

OUTSIDER – Renzi, a dirla tutta, era già stato parecchio critico nei confronti del meeting romano: «Non siamo in grado di decidere da soli? Dobbiamo andare dai romani perché sono più capaci di noi? Da cosa lo deduciamo? Dalla notevole efficienza con cui è stata gestita la vicenda Villari, per esempio?». Probabilmente aveva un presentimento, conscio dell’anomalia della sua candidatura: a 33 anni si è infilato in uno scontro che non prevedeva terzi candidati, al prezzo della rinuncia a un secondo mandato alla provincia che nessuno gli avrebbe negato. Ora dovrà incrociare le dita in vista delle primarie di coalizione, se vuole ancora coltivare il sogno di diventare il sindaco di Firenze. Le cose però potrebbero peggiorare ulteriormente: sembra infatti che come ciliegina sulla torta il Pd nazionale potrebbe decidere di imporre a Firenze un candidato unico per tutto il partito su cui far convergere il consenso e le forze di tutti. Tale figura risponderebbe al nome di Vannino Chiti.

CI ABBIAMO PROVATO – Ricapitolando. Il pd poteva lanciare da subito una sola candidatura ufficiale, dimeticandosi delle primarie: non sarebbe stato proprio un granché, ma neanche qualcosa di mai visto. Ha indetto le primarie, ha tolto il guinzaglio a quattro agguerritissimi candidati e oggi – con le squadre schierate in campo da settimane – medita di annullare tutto e ricominciare con un quinto candidato, lo stesso per tutti. Qui non abbiamo la palla di vetro, magari alla fine a Firenze vinciamo lo stesso. Ma che non si dica che non le abbiamo provate tutte, questa volta.

(per Giornalettismo)