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Di Obama, sinistra e feticci

Io capisco le ragioni per cui Christian Rocca insista nel sostenere che le scelte di Obama siano “non proprio progressiste”, e argomenti questa tesi citando in maniera piuttosto divertita le quantomeno tiepide reazioni di MoveOn, Naomi Klein, Michael Moore, Noam Chomsky e compagnia bella davanti alle prime mosse del presidente-eletto. Quello che Rocca non aggiunge è il passaggio successivo del ragionamento: cioè che tecnicamente sono Klein, Moore, Chomsky et similia a non essere più progressisti, da parecchio tempo. Sono abbastanza sicuro che Rocca sia della stessa idea, e così penso sia chiunque abbia letto il suo bel libro: penso anche che Rocca non lo dica perché non vuol rinunciare al divertimento, e in qualche modo lo capisco pure. Il passaggio in questione però è fondamentale, e mi dà modo di tornare su un discorso che mi sta a cuore – qui lo abbiamo toccato più di una volta – e parte da due assunti molto semplici.

Il primo è quasi tautologico: non basta dichiararsi di sinistra per essere di sinistra. Il secondo: oggi molto spesso – negli Usa ma anche e soprattutto in Italia – succede il contrario, cioè personaggi riconosciuti come alfieri del progressismo perorano in realtà cause ben poco di sinistra, con comportamenti ben poco di sinistra.

Per quel che riguarda i comportamenti praticati, le cose sono molto ben riassunte qui, e non c’è ragione di dilungarsi oltre. Venendo alle cause perorate, penso che questo fenomeno si verifichi soprattutto quando si parla di giustizia, economia e politica estera. Sulla giustizia, basti ricordare i nomi, le storie ma soprattutto le idee di Marco Travaglio e Antonio Di Pietro, gli idoli in materia della cosiddetta sinistra: basti andare a vedere cosa dicono e cosa scrivono del sistema giudiziario, dei processi, delle carceri e di coloro che vi stanno dentro. Dal punto di vista delle politiche economiche, la prova è ancora più semplice: chi crede che essere di sinistra nell’anno 2008 sia statalismo, egualitarismo, aumento della spesa pubblica, avversione nei confronti del liberismo, del mercato e della globalizzazione (quindi diciamo un pezzettino del Pd più tutto quello che sta, anzi, si colloca alla sua sinistra) dovrebbe felicitarsi del fatto che l’Italia abbia in questo momento il ministro dell’economia più di sinistra della sua storia recente, cioè Giulio Tremonti.

Veniamo quindi alla politica estera. In realtà basterebbe dire due cose: che la sinistra dovrebbe stare dalla parte dei deboli (e i deboli sono le donne velate e lapidate, i bambini soldato, le vittime delle dittature e delle teocrazie); che davanti a un’ingiustizia la sinistra dovrebbe intervenire, piuttosto che voltarsi dall’altra parte o sostenere teorie razziste come quella secondo la quale esistono culture che non sono pronte per la democrazia. I motivi di questa spaventosa arretratezza sono tanti: innanzitutto una classe dirigente debole in cerca di consensi facili (io non lo dimentico, Fassino in piazza alle manifestazioni-per-la-pace) e un sistema di pregiudizi e retaggi culturali ereditato dai tempi in cui si era alleati dell’Unione Sovietica e conservato intatto finora per ignavia e codardia. Nessun leader della cosiddetta sinistra progressista e liberal ha avuto il coraggio di dire pubblicamente e solennemente che si è stati per cinquant’anni dalla parte sbagliata: lo si è detto piano piano col tono di chi non poteva farci niente, lo si è ammesso a mezza bocca in discorsi farciti di riferimenti romantici ai tempi che furono, ché se no i militanti si incazzano.

Unite a tutto questo una cospicua dose di provincialismo e ignoranza, e oggi ci ritroviamo con mezza sinistra italiana e mondiale in cui ognuno si è fatto un Obama a sua immagine e somiglianza. Il pacifista s’è fatto l’Obama pacifista, lo statalista s’è fatto l’Obama statalista, eccetera.

Di Obama ce n’è uno, però. Chi è legittimamente convinto che non si debba mai fare la guerra verso nessuno in nessuna situazione avrebbe fatto bene a non sostenere Obama, dato che Obama dice da sempre che se serve per fermare un eccidio o rovesciare una dittatura – dove può essere utile e dove si può, ovviamente, cioè dove i mezzi non compromettono i fini: in Cina o in Russia non si può, per dire – la guerra si fa. Obama è persino più guerrafondaio dei neocon, a dirla tutta: i neocon interverrebbero solo dove oltre all’emergenza umanitaria e democratica siano minacciati anche gli interessi americani, a Obama basterebbe l’emergenza umanitaria e il fatto di poterlo fare, stando a quel che dice. Per quel che mi riguarda, questo è uno dei motivi per cui io l’ho apprezzato e sostenuto, e le sue nomine mi rassicurano, piuttosto che preoccuparmi: sono convinto che non esista neutralità di fronte all’omicidio* e penso che non esista sovranità dello stato da tutelare in Congo, in Darfur o in Iran, così come non esisteva in Germania sessanta anni fa o in Kosovo appena l’altro ieri. Il giorno in cui Obama manderà delle truppe in Rwanda a difendere i civili inermi o in un qualsiasi staterello islamico a difendere le donne uccise a pietrate, gli omosessuali impiccati, le bambine date in sposa a otto anni e gli uomini sgozzati perché si sbarbavano, io sarò contento una volta di più di averlo sostenuto. Chi a sinistra non lo sarà avrà semplicemente sbagliato candidato.

Un’ultima cosa. Negli ultimi giorni di campagna elettorale, McCain accusò Obama di essere socialista. La cosa avrebbe riempito d’orgoglio tanti onesti militanti del Pd e della sinistra italiana (pensate a tutto il casino sulla collocazione europea del Pd) e invece Obama s’è parecchio offeso. Ancora, quando hanno chiesto a Biden se Obama fosse per la “redistribuzione della ricchezza” e se questo non fosse “marxista”, lui si è messo a ridere e ha chiesto se fosse uno scherzo. Questo è Barack Obama, che piaccia o no; il problema è di Naomi Klein, di Michael Moore e di quanti anche in Italia si sono ritagliati il loro Obama personale senza pensarci troppo. La faccia di Obama verrà pure bene sulle magliette, ma questa è l’unica cosa che ha in comune con Che Guevara. Anche se, a pensarci bene, Che Guevara andava a far la guerra un po’ dappertutto per liberare gli oppressi: magari sotto sotto era anche lui uno sporco neocon.