That’s Italy, baby
Qualche tempo fa feci un colloquio per lavorare nello studio di un famoso editorialista italiano. Prima del colloquio telefonai a un amico che aveva già lavorato lì, per chiedergli in generale cosa avrei trovato e cosa si sarebbero aspettati da me. L’amico mi descrive un quadro ai limiti del grottesco. Mi dice che se voglio avere speranze devo dire di sì, sempre e comunque; devo dirmi sempre d’accordo col giornalista in questione, anche quando penso dica panzane; non devo fare richieste in quanto a orari e carico di lavoro; devo addirittura dichiararmi grande estimatore – nonché abile utilizzatore – del suo marchio preferito di prodotti informatici e mai, mai, mai al mondo devo dirgli che voglio prendermi qualche giorno perché nel frattempo sto valutando un’altra offerta di lavoro. Perché? Perché «penserebbe che sei uno di quelli lì, uno che vuole addirittura scegliere».
Ovviamente non se ne fece nulla, ma la storia mi è rimasta particolarmente impressa, perché – con tutte le eccezioni del caso, ovviamente – sintesi in qualche modo di tante delle cose che non vanno nel mondo del lavoro in questo paese, specie per quel che riguarda le professioni che godono di un qualche prestigio sociale: avvocati, medici, giornalisti, per dirne alcune. C’è la retorica della famigerata “gavetta”, ossia quella pratica tribale per cui sei in qualche modo tenuto a fare lo schiavo gratis se vuoi avere qualche speranza di essere pagato per lavorare. L’obbrobrio degli ordini professionali e dell’ereditarietà delle professioni, che obbliga i ragazzi sprovvisti di genitori avviati nel settore a rassegnarsi a un periodo di sfruttamento selvaggio (andate da un praticante in uno studio legale, chiedetegli che orari fa e fatevi raccontare) in cui si lavora il doppio degli altri guadagnando poco, spesso niente. La mediocrità che muove gli avanzamenti di carriera in base all’anzianità, e fa quindi diventare il talento e l’ambizione qualcosa di negativo, di cui vergognarsi: tu «vuoi scegliere», vuoi «tutto e subito», insomma, vuoi saltare la fila. La mentalità per cui guai a dire di saper fare qualcosa meglio di qualcun altro, ché «io lavoro qui da vent’anni»: embè?
Ecco, tutto questo per dire che quando ho saputo di questa storia, non mi sono stupito per niente. «E’ la stampa, bellezza?» – No. E’ l’Italia.