«Axl Rose just wasn’t made for these times»
Premessa: io ho un rapporto strano coi Guns n’ roses. Oggi dico che le loro canzoni si somigliano un po’ tutte, che dopo dieci minuti è un po’ sempre la stessa storia e che è insopportabilmente frustrante non riuscire a canticchiarle come si deve, a meno che non si abbia la voce di Axl Rose. La verità è che per buona parte degli anni trascorsi al liceo non ho quasi ascoltato altro, e quindi tutt’oggi ho un po’ di loro canzoni sull’iPod e ieri sera, per esempio, la funzione random è andata su Sweet child of mine e mi sono sorpreso ad agitarmi e tamburellare freneticamente mani e piedi – come quando avevo sedici anni, in pratica.
Qualche giorno fa, dopo quindici anni di leggende metropolitane e speculazioni varie, è uscito Chinese democracy; un nuovo album di un nuovo gruppo, visto che della vecchia formazione è rimasto solo l’insostituibile Axl Rose. Non l’ho ancora ascoltato, e un po’ temo il crollo dei miti giovanili e la perdita delle illusioni, anche perché questi revival finiscono quasi sempre male e in giro non se ne parla benissimo:
In an April Fools’ review of Chinese Democracy written two years ago, Chuck Klosterman suggested that if it wasn’t the greatest album ever released, it would be seen as a complete failure. Chinese Democracy needed to be a spectacle– something that either validated its tortuous birthing process or a Hindenberg so horribly panned it would somehow validate Rose as a misunderstood genius. Instead, it’s simply a prosaic letdown, constructed by a revolving cast of misfits ultimately led astray by a control freak with unlimited funding and no clear purpose, who even now remains more myth than artist.